Sottosegretario all'Interno rivela gli accordi che vengono presi con chi lascia Cosa Nostra di Francesco La Licata

Sottosegretario all'Interno rivela gli accordi che vengono presi con chi lascia Cosa Nostra Sottosegretario all'Interno rivela gli accordi che vengono presi con chi lascia Cosa Nostra Controllo da statali per i pentiti Ricevono stipendi da due milioni ROMA. I pentiti della mafia, pardon i collaboratori di giustizia, insomma i duecentosettanta testimoni che stanno riempiendo migliaia e migliaia di verbali d'accusa contro boss, killer, affaristi, politici discutibili e filomafiosi, sono protetti dallo Stato. E questo non solo è notorio, ma non ha mai costituito oggetto di scandalo. La protezione di queste persone e dei loro familiari, inoltre, è regolata da un normale contratto, che vede protagonisti da una parte il pentito e dall'altra lo Stato. Un contratto che definisce «diritti e doveri» della persona che si sottopone alla protezione. Una serie di norme che regolano in pratica l'attuazione e i termini della «collaborazione», compresi naturalmente i problemi logistici ed economici legati alla sopravvivenza delle persone sottoposte a protezione. Il contratto in pratica stabilisce anche lo «stipendio» del pentito, «anche due milioni al mese». Neppure questa è novità sconvolgente, dal momento che i provvedimenti governativi varati in questa direzione risalgono alla fine del 1991. Ma è bastato sentire tutto ciò dalla radio, nel corso di una delle edizioni del Gr2, per bocca del sottosegretario Antonio Murmura, per far nascere «il caso». Il sottosegretario ha raccontato solo una minima parte di quella che è la prassi che ruota attorno ai contratti dei collaboratori, ma le reazioni sono state ugualmente allarmate. Il più sdegnato è parso Raffaele Costa, ministro per gli Affari regionali, che, sentendo pronunciare la parola «stipendio», ha dichiarato tutta la sua deplorazione per queste forme di contratto definite «aberranti». «Non mi convince - dice il ministro - l'idea di mettere a regolare libro paga i pentiti. Queste misure non sono a favore né dell'occupazione né della lotta alla criminalità». E non ha evitato le battute ironiche: «Mi domando se sa' ranno applicabili le nuove disposizioni sul pubblico impiego recentemente varate dal governo». Poi ha aggiunto: «A quando il sindacato dei pentiti?». E forse non sarebbe sbagliato istituirne uno, a sentire Rosario Spatola, uno dei collaboratori ormai «consacrato» tra i più attendibili. «Contratto? Non so cosa sia. Anzi, approfitto per denunciare una caduta d'attenzione nei miei confronti. La verità è che è morto Borsellino e io sono rimasto orfano». Ma come, nessuno aiuta Spatola? «Ho chiesto aiuto risponde al telefono il pentito ma non ho avuto risposte. Sì, mi danno dei soldi. Ma si vive di tante altre cose. Non voglio entrare nei particolari, li riferirò quando qualcuno si preoccuperà di venire a trovarmi. Li dirò all'antimafia, se vorranno ascoltarmi. Per il momento posso solo dire che mio figlio ha avuto bisogno di un intervento chirurgico e nessuno lo ha aiutato. Non posso ringraziare il ministero: per le cure di mio figlio abbiamo dovuto provvedere da soli». Eppure, non più tardi di ieri mattina il sottosegretario Murmura aveva parlato di stipendi intorno ai due milioni, di «sistemazione» per i familiari dei collaboratori. Il fatto è che ancora non tutto fila liscio: le nuove norme esistono da poco tempo e l'organizzazione forse non è ben rodata. Cosà prevedono i contratti? Chi regola gli accordi? Esiste una «Commissione centrale per la definizione e l'applicazione dello speciale programma di protezione per i collaboratori della giustizia». A presiederlo è un sottosegretario (attualmente il sen. Murmura). E' la commissione che stabilisce a chi concedere il contratto e che tipo di accordi far valere. Le segnalazioni alla commissione giungono dalle procure interessate alle rivelazioni dei collaboratori. I contratti non riguardano solo i pentiti: nel «programma speciale di protezione», infatti, sono inclusi i testimoni che accettano di collaborare. Per esempio Rosetta Cerminara, che raccontò la morte del maresciallo Aversa, e il «superteste» dell'indagine sull'omicidio del giudice Livatino. Non ci sono contratti standard. Tutto avviene secondo le singole esigenze. Per esempio: per il pentito Gaspare Mutolo è stato necessario «disperdere» in mezza Italia una cinquantina di parenti, dividerli per nuclei familiari e cominciare a ricostruire una identità per ciascuno di loro. Operazione ancora non possibile: lo sarà entro la fine di marzo. I soldi? Ad ogni singola famiglia viene assicurata una casa, le spese di sopravvivenza e una cifra che varia a seconda del numero dei familiari. Non sono problemi semplici: non è facile iscrivere i bambini a scuola usando nomi di copertura, non è semplice l'iscrizione alle Usi, la ricerca di un posto di lavoro, l'apertura di un conto in banca. Spese eccessive, per dirla col ministro Costa? Non sempre è così: il superteste del caso Livatino, per esempio, che non è neppure un pentito, guadagnava col suo lavoro più di dieci milioni al mese. Gliene danno due e deve vivere «sepolto vivo». Gli è convenuto collaborare? Certo, ha fatto una scelta di onestà. Francesco La Licata Il ministro Raffaele Costa scandalizzato «E' una scelta aberrante» Due pentiti di mafia: Tommaso Buscetta (a sinistra) e Giuseppe Marchese

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