L'ultima zampata dell'Omone

L'ultima zampata dell'Omone L'ultima zampata dell'Omone «Tutti sapevano e vedevano, nessuno fiatava» FREDDA FIHE DI UN'ERA O, il Midas è più in là. Verso il mare che si indovina oltre l'infernale carovana di lamiera. Qui all'Ergife, congressificio vagamente macabro, fa freddo. E' come nel «Caro estinto» di Bichardson: si commemora il socialismo italiano, i compunti ridono per darsi coraggio, c'è aria di lutto già digerito, ma non tutto. Resta un bolo indigesto. E lui è là, l'omone, il segretario che non indossa più jeans ma una grisaglia; che non ha più accanto il giovane Claudio. Il Midas è lontano meno di un chilometro, ma anche alcuni anni luce. Settantacinque secondi di applauso finale (con rimonta quando alza il garofano che una testa bianca gli mette in mano), che non sono molti. Ma neanche pochi. Bettino Craxi è caduto. Si è dimesso. Non c'è più. E' uscito a sinistra, oltre certi tendaggi. E' finita. Oggi ci sarà lo scontro per la segreteria tra Giorgio Benvenuto e Valdo Spini, un giovanotto mite che cerca di sembrare un duro. Calvinista, anzi no, valdese. Mi rimproverò una volta di averlo dipinto quasi come un candido babbeo, perché avevo insistito sul suo calvinismo. Ma Dio sa, almeno il dio dei socialisti, se in questo momento non ci sarebbe bisogno di Calvino con spada e frusta che rimette in sesto Ginevra, e che non esita a mandare sul rogo persino i fanciulli lazzaroni. Tutto questo nell'estate del 1976 non si poteva immaginare. Oggi non c'è Pietro Nenni con gli occhialoni sulla tartaruga del cranio. Non c'è Riccardo Lombardi, con la sigaretta che brucia come una miccia fra le dita, De Martino attonito, e non vediamo Antonio Giolitti, il segretario mancato, che allora era un giovanotto e oggi un signore bianco. Quanto a Enrico Manca, che allora passò per parricida (era l'ombra, il figlio di Francesco De Martino), oggi è nervoso, operativo, ci sembra insieme frustrato e frenetico. L'assenza di Claudio Martelli pesa. Craxi, dunque: il grand vilain, l'uomo più bersagliato e odiato, il testardo, l'irritante. Stavolta ha fatto un discorso di tenore basso e di profilo medio. Un'orazione senza enfasi, un addio senza lacrime. Diciassette anni di regno soltanto Palmiro Togliatti l'ha battuto, ma Togliatti lasciò soltanto quando cadde nell'agguato della morte. Bettino è caduto in una foresta di trappole, specchi di luna-park. Bettino è caduto e il suo partito, quello che abbiamo visto ieri, era una larva: sembrava un cadavere innervosito. Nessuno credeva in se stesso, e neppure nell'identità (si dice così?) socialista, Bettino Craxi ha concluso il suo discorso dicendo: «Consapevoli e uniti i socialisti possono dare an cora una volta una prova della lo ro serietà, della loro responsabi lità e capacità riformatrice. E' l'augurio che faccio a tutti con un sentimento di fiducia e di frater no affetto». Amen. Consapevoli e uniti? Mai tanto rancorosi e fra strati. Soltanto Sandra Milo, se I duta accanto a Filippo Panseca, aveva creduto a un certo punto che fosse arrivata l'ora della commozione: «Mi viene da piangere, Dio mio, che faccio?», ha chiesto all'architetto di Bettino. E Panseca: «T'i pottasti i lenti da sole?». Sandrocchia annuisce senza comprendere. E Panseca: «E mettitìlli». Piangi? E mettiti gli occhiali da sole, è meglio non fare scene. Pomeriggio appena iniziato. Freddo romano, di quello sottopelle. Siamo lì, assiepati. Voci: Spini, fanno Spini. Alla direzione hanno fottuto Formica e Signorile. Ma Giugni è uscito? Giugni ora esce, ora cade. E Andò: è vero che a un certo punto... Sì, ma è stata cosa di un minuto: Andò è subito caduto. E tu che ne pensi? Non so. E tu? Valdo. C'è l'accordo fra parte della maggioranza e quasi tutta la minoranza. I martelliani. Ci sono, non ci sono, si sono dile¬ guati, si sono riuniti. Zitti. Eccolo. E' Valdo. Effettivamente c'è movimento. Esce Spini da una porta per attraversare una parte dello spazio esterno. Si vede benissimo. Sono le 6 del pomeriggio, è il suo momento. Sembra incoronato. Ha tutti intorno. Guardia pretoriana, fotografi. Faccia: l'abbiamo detto, da duro. Sguardo impenetrabile dei momenti gravi. E fai un sorriso, Spini: non stai mica andando a comandare l'ultima carica. Macché. Scompare. E' calvinista. No, pardon, valdese. Dall'altra parte della sala; appoggiato al muro, Benvenuto, che in serata risalirà le quotazioni fino a tornare il pole-position: ma al momento ha i movimenti legnosi dello sconfitto. Auto blu. Chi è? Arriva Amato. Il topino. Macché topino: Giulia¬ no è un signore con senso dell'umorismo, è consapevole di quel tanto di penoso e liberatorio che porta con sé questo rituale. Ciao, Giuliano. Amato è calmo, si ferma, passa, fa sempre più freddo. Interno. Mille e passa sediole rosse con finiture cojor oro. Pacchiane e macabre. Palco ancora in allestimento: il boia misura le corde degli strumenti. Non funziona il microfono. Craxi non si dimette perché non si sente niente. Il boia e i suoi aiutanti trafficano e il palco ora è eretto. Si può procedere. Bettino aspetta il suo turno. Parlerà al popolo, prima che la sua testa cada. Uno, due, tre prova. Uno due... Miracolo: i microfoni funzionano, si proceda. Nessun rullo di tamburo. Craxi parla, per chiudere. Non sembra Luigi Capete Sembra uno di quei consoli romani che dopo aver rot¬ to le ossa a traci e libici, finivano travolti dagli scandali per le commesse militari, la cresta sui soldi dello Stato, concussione, corruzione, tutta una classe equestre arricchita, appaltatori grassi come porcelli. Craxi leggerà, alla fine, il suo cursus honorum: quanti congressi, quante elezioni, quanti anni di presidenza del Consiglio, quanta prosperità. E dice qualcosa di inusitato: ammette, con tono forte e non dimesso, che alcune delle accuse mossegli sembrano ben fondate, mentre tutte le altre sono un'accozzaglia di diaboliche deformazioni. E naturalmente ripete la tesi del finanziamento pubblico: tutti sapevano, tutti vedevano, nessuno fiatava, soltanto adesso, di colpo, scoprono il marcio, e lo scoprono quasi tutto addosso a noi. Chiama un applauso quando a testa alta dà la sua solidarietà a Martelli. E' un'ovazione, una delle poche. Forse c'è il tracco, il trucco dell'orazione davanti al corpo di Cesare: voi dite che Claudio è uomo d'onore. E che io sono un uomo compromesso. Ma ora anche lui è compromesso: dunque gli "sia reso onore. Chissà. Ah, se Bettino Craxi avesse speso una parola, una sola, per dire: compagni, che dico: ragazzi, ammetto di aver fatto polpette dell'immagine, dell'onore di questo partito. Magari per arrogante timidezza. Magari perché mi sono rincretinito. E perché ho fatto caterve di sbagli per cui oggi mi prenderei a schiaffi. Nulla. Soltanto un tono dimesso, più umano, da cane bastonato, ma fermo nella dignità. Certo, Craxi suscitava ieri rispetto. Non ha mai piegato la testa e anche se questo atteggiamento può contenere una dose di ringhiosa protervia, tuttavia tiene in piedi il personaggio nel momento difficile della sua caduta. Si può cure, per quanto possa essere proporzionato paragonare la caduta politica alla morte, che Craxi è morto in piedi. Nella sala nessuno era troppo emozionato. Si respirava aria di fretta. Che cada quella testa nella cesta, e non se ne parli più. Alcuni rabbiosi, a Craxi uscito, si sono abbandonati a piccole scene da 25 luglio, ripetendo a destra e manca che quello era stato «un discorso di merda». Però la platea nel suo complesso era dignitosa. Scendeva una cappa di anonimato su tutto e su tutti. Sembrava che una grande pièce teatrale fosse uscita dal cartellone, come certi thriller teatrali di Agatha Christie: da domani non si dà più «Il Garofano» di Bettino, diciassette anni di repliche. Fine della compagnia, del cartellone, anche il teatro non è più quello del debutto. Gianni De Michelis era illividito e sofferente. Giusi La Ganga faceva l'omaccione di casa che si occupa delle formalità burocratiche. Bettino parlava, recitava l'ultimo monologo. Ha ragione: il Paese è allo sbando, ma lui ne parla come se fosse sulla tolda in giubba da ammiraglio, e invece è ai ferri nella stiva. L'incedere è lento, le pause sono appena un po' snervanti. Ma stavolta Bettino Craxi è anche totalmente umano. Ammette le «aree infette» intorno alla greppia dei finanziamenti in nero, afferma finalmente che una grande rete di corruttele grandi e piccole hanno segnato la pelle del Paese che ora infatti ha appena un po' di lebbra. Denuncia una grande, perfida, ben orchestrata ondata di progressive rivelazioni sulle quali, a suo parere, «non è difficile costruire uno scandalo». Non ammette di essere lui una delle pietre dello scandalo e chiama a testimone, per un domani di là da venire, la storia e la verità: due creature volubili e volatili che quasi mai obbediscono. Paolo frizzanti litól mÉT;' ' De Michelis pallido, Manca frenetico, alla fine un applauso di 75 secondi Bettino Craxi all'arrivo all'assemblea nazionale psi

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