«Meno disciplina più carità» di Gianni Vattimo

Il filosofo del «pensiero debole» ospite dei Martedì Sera: attenti a non confondere progresso e scienza Il filosofo del «pensiero debole» ospite dei Martedì Sera: attenti a non confondere progresso e scienza «Meno disciplina, più carità» Gianni Vattimo sui guasti della modernità Il filosofo Gianni Vattimo provoca di nuovo. Prima il «pensiero debole», poi, da qualche tempo le riflessioni contro il moderno (anzi la modernizzazione) che ha esaurito la funzione di motore della storia contemporanea, specialmente da noi, in questa Italia che non ha posseduto (per carenza di vitamine culturali) la nervatura giusta per trarne vantaggi. Polemica aperta verso il pasolinismo (Vattimo contro Pasolini, dunque) che sottolineava il negativo della cultura di massa e contro la Chiesa cattolica che ha esasperato la critica al consumismo. In altre parole: critiche inutili perché la modernità ha fatto il proprio tempo e non ha dato all'uomo che briciole di progresso. In Italia poi, la modernità mutuata malamente da altri modelli ha creato i suoi «mostri». In generale la modernità ha giocato tutte le sue carte ester¬ namente all'uomo in quanto all'uomo come «essere» ha dato ben poco. Siamo alla ripresa del teorema di Fromm, al ripensamento sulla scelta tra essere e avere? Può darsi, forse. Certo è che sulla crisi italiana (ma della società contemporanea in genere) non si può fare calare l'ombrello del «doverismo» ossia del concetto di lavoro inteso in senso etico (e a questo proposito la freccia di Vattimo colpisce al cuore il «doverista» Vertone). Ed è pure criticabile l'eventuale confusione tra modernità e progresso. Dice Vattimo: «Innegabilmente il progresso ci è stato utile. Attenzione però a distinguere tra progresso e scienza perché la scienza e la tecnologia hanno generato molti problemi irrisolti». Come uscire dalla crisi? «Occorre superare il concetto di moderno e spingerci al postmoderno». In che modo? «Posto che il concetto di modernità, come credo, non è più attuale e chi l'ha coltivato deve fare i conti con un fallimento occorre pensare ad un'alternativa». Quale, professore? E qui Vattimo spinge l'acceleratore controcorrente. Una virata di bordo da brivido: «Penso che il nostro futuro possa trarre nuovo vigore dai popoli latini, dalla loro cultura più flessibile, meno rigida, più vocata a riflettere sull'uomo che sulle cose». Se pensiamo ai fatti di casa nostra non troviamo, proprio in questa eccessiva «flessibilità», la radice dei nostri guai? Dipende. Questione di sapiente dosatura: «Comunque è una scommessa nella quale vorrei credere». La scommessa ha una posta tutta da verificare, si chiama «modernizzazione imperfetta» che fa occhio e croce il paio con la torinesissima riflessione sulla «democrazia imperfetta» (Bobbio). Quindi l'Italia al timone della barca postmoderna? «Non lo escludo». L'Italia con la sua cultura cattolica, beninteso: «La capacità del cattolicesimo di vivere sulle mediazioni e i compromessi la considero un pregio». Lei allora sta dall'altra parte del rigorismo e della disciplina? «Può dirlo!». La ricetta giusta? «Non so se è giusta, ma mi sembra che valga di più rispettare il prossimo anziché la didattica del dominio di sé. Meno disciplina e più carità, se vogliamo semplificare». Più o meno il condensato della conferenza che ieri sera Gianni Vattimo ha tenuto all'Unione Industriale. Manco a dirlo, il dibattito con il pubblico non è mancato. E continuerà di certo, lontano dal microfono della sala. [p. p. b.] Il filosofo Gianni Vattimo mentre provoca la platea

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