Daf la lunga storia di una crisi annunciata di Eugenio Ferraris

Economia Metà dei posti di lavoro in pericolo Daf, la lunga storia di una crisi annunciata Tre settimane di tempo per trovare un finanziamento per800 miliardi TORINO. La crisi che ha colpito la Daf, glorioso marchio di un costruttore olandese di veicoli industriali, non sarà né breve né tantomeno di facile soluzione. E' dell'altro ieri la notizia secondo cui la società - posta in amministrazione controllata rischia un ridimensionamento della struttura originale pari al dimezzamento dell'intera forza lavoro (12.500 persone) con la creazione di una nuova società. L'annuncio è stato dato dai curatori fallimentari con una lettera inviata a tutti i dipendenti e nella quale si dice sostanzialmente che «il numero degli impiegati negli stabilimenti di Westerlo (Belgio) e Eindhoven (Olanda) verrà tagliato in misura maggiore dei precedenti programmi». Vale a dire, secondo indiscrezioni peraltro attendibili, alla metà del totale. Gli interventi a sostegno dell'azienda si limitano, per ora, ad una ricapitalizzazione della società sino a 225 milioni di fiorini (l'annuncio è del ministero dell'economia olandése), cifra del tutto insufficiente a coprire i costi di ristrutturazione calcolabili tra i cinquecento milioni ed un miliardo di fiorini olandesi, vale a dire tra i quattrocento e gli ottocento miliardi di lire. Tempo tre settimane - hanno aggiunto i curatori fallimentari - ed il piano partirà così come è stato formulato. Quella del veicolo industriale è una realtà molto complessa che tuttavia non sfugge ad una regola ben precisa: gli alti e bassi del settore (che nascono e si concludono in un ciclo settennale, almeno così hanno sinora detto le statistiche) sono un segnale anticipatore dello stato dell'economia, sia nel bene sia, purtroppo, nel male. Sino a venti, venticinque anni fa, i costruttori europei di camion erano una cinquantina: oggi, tra aggregazioni e scomparse «cruente» di marchi sono rimasti in una decina. Il mercato continentale è in mano a Mercedes (con una quota di penetrazione pari al 25 per cento). Iveco con il venti, Renault e Volvo (che dovrebbero presto diventare un gruppo unico) con il 10 ciascuna. Seguono Scania e Man, anch'esse con il dieci per cento. Nell'89 si vendevano in Europa 515 mila camion; a fine '93 le stime si fermano a quota 390 mila. Daf, con una quota di poco superiore al 9 per cento nel terzo segmento del mercato (veicoli con peso a terra superiore alle 12 tonnellate, quindi camion pesanti e medio-pesanti e mezzi da cantiere) ed una presenza in Europa pari a circa il 7 per cento considerando tutti i veicoli, si è trovata di fronte ad una crisi generalizzata del settore alla quale non ha saputo rispondere per un insieme di situazioni. Non ultima quella economica. Negli anni passati la Daf aveva acquisito la britannica Leyland, specialista in veicoli commerciali leggeri: sul mercato europeo, è proprio quello inglese ad accusare la maggior crisi in questa «nicchia», con conseguenti forti perdite da parte della capogruppo. Né si può considerare quella della Daf una crisi improvvisa. Da tempo, infatti, gli analisti del mercato ne prevedevano un forte ridimensionamento, al punto che nei primi giorni del '93 un'agenzia inglese consigliava al costruttore olandese in primo luogo di ristrutturarsi e di dedicarsi poi all'assemblaggio dei camion, lasciando da parte la costruzione dei motori. Per gli addetti ai lavori, l'affidarsi alla tecnologia ed alla componentistica altrui è l'agonia di un'impresa. Agonia, tra l'altro, che potrebbe avere pesanti ripercussioni sull'utenza di quel marchio (ricambi che spariscono dal mercato, soste di insostenibile lunghezza del mezzo, eccetera). Ed anche questo è un valido motivo per evitare - nell'interesse generale - che un'altra gloriosa marca sparisca dalla scena europea. Eugenio Ferraris

Luoghi citati: Belgio, Europa, Olanda, Torino