«Curdo vittima dell'apartheid»

Oggi il verdetto sulla semilibertà. Una manager cura gli interessi dell'ex terrorista Oggi il verdetto sulla semilibertà. Una manager cura gli interessi dell'ex terrorista «Curdo vittima dell'apartheid» Parla la «tutrice» del capo Br: ha già espiato L'ANGEO L'ANGELO CUSTODE DEI DETENUTI FIRENZE ON lo aveva mai visto. Un nome, eppoi quel libro intitolato «Wkhy», che non sarebbe diventato un best-seller: a pagine struggenti ne alternava alcune ermetiche, lo stesso titolo era formato dalle lettere meno usate dell'alfabeto. E lei, che oggi è la «tutrice» di Renato Curcio, e allora curava la presentazione del libro, gli scrisse quell'obiezione. Con un pizzico di preoccupazione nella voce, ora precisa che «comunque si tratta di una storia affascinante». Dieci anni dopo l'arresto, avvenuto a Pinerolo nel 1974, e di silenzio quasi claustrale, con quel racconto lungo Renato Curcio tentava di «riannodare il dialogo con l'esterno». Oggi il tribunale di sorveglianza dovrebbe decidere sulla concessione della semilibertà: lavoro all'esterno e rientro in carcere la notte. Fuori dovrebbe occuparsi della cooperativa che aveva contribuito a fondare: «Sensibili alle foglie». Ma lui non può far parte del consiglio di amministrazione della casa editrice perché è stato privato dei diritti civili. «Come se fosse ritenuto un incapace», osserva Paola Cecchi. «E' una forma di apartheid, se uno ha pagato, ha pagato, e allora queste pene aggiuntive sono ingiustificate». Così, la «tutrice», firma i contratti, sue sono le garanzie legali. E' fiorentina, quarantunenne e divorziata. Lavora con i fratelli in un'azienda metalmeccanica della quale è socia. Prima era cattolica, dice, ora «agnostica e pacifista: a 14 anni leggevo Gandhi. E sono femminista. Inoltre, ho un Sessantotto "doc"». Sorride ironica, con quel suo accento aperto, carezzevole. Sono anni che si occupa di problemi carcerari ed è anche «vice-tutrice» di S. C, tre volte omicida ora detenuto nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino. «A quella lettera Renato rispose con uno scritto dal quale traspariva la grande curiosità che lo ha sempre amimato. Però, appariva anche contorto, come spesso sono gli uomini». Lei non ha partecipato alla lotta annata ma «mi hanno sempre interessato quei problemi, volevo cercar di capire chi fossero, in realtà, i terroristi, chi li avesse prodotti. Sì, con i compagni, in quegli anni, si discuteva della possibilità di prendere le armi, ma io mi limitavo ad ascoltare». Fu Curcio, sempre così riservato, a far domanda per un incontro. E l'ultimo dell'anno del 1985 s'incontrarono la prima volta, nel supercarcere di Ascoli Piceno, lo stesso dove anni prima avevano soggiornato Ali Agca e il camorrista Raffaele Cutolo, che su segreto invito dello Stato aveva trattato con le Brigate rosse la liberazione di Ciro Cirillo dignitario democristiano. Più avanti, col rischio che i permessi venissero cancellati, Curcio fece la domanda per far nominare Paola Cecchi «vice-tutrice»: in quel tempo la «titolare» era Armenia Balducci, compagna dell'attore Gian Maria Volontà. «Renato ha un carattere molto dolce e in questi anni è cambiato. Ricordo che quando per la prima volta gli scrissi una lettera col computer, rimase inorridito. Oggi è un mezzo mago del computer e con altri porta avanti il "Progetto memoria" che è poi la storia dei 650 gruppi armati che ci sono stati in Italia». E' stato attraverso Curcio, soprattutto, che Paola Cecchi ha conosciuto i protagonisti di quegli anni che sarebbero stati chiamati «di piombo», ma anche di quelli che li avevano preceduti: Mauro Rostagno, il sociologo di Trento che verrà ammazzato tanto tempo dopo dalla mafia a Trapani; Barbara Balzarani, che faceva parte della Direzione strategica delle Bierre e che ancora oggi, malgrado l'ergastolo, sembra sul punto di salutare e andarsene dal carcere; Oreste Scalzone, che era un leader di Potere operaio e ora vive da esule a Parigi. «Bisogna arrivare a una soluzione, per tutti questi ragazzi che sono lontani e che qualche volta ho visto piangere perché non possono rientrare», esclama quasi con collera Paola Cecchi. E' attraverso lei, dice, che in una qualche maniera l'ex brigatista ha potuto «guardare» l'esterno. «Riceve 40 lettere al giorno, ma non riescono a soddisfare la sua grande curiosità». Ora che l'apertura del carcere sembra a portata di mano, son state fatte anche raccolte di firme e il mensile «Frigidaire» diretto da Vincenzo Sparagna ha pubblicato le ragioni per cui la gente vorrebbe fuori quell'ex brigatista. «Perché ha già pagato abbastanza», sostiene Roberto Fedele; «Perché se la mafia è solo Sicilia, Renato è Peter Pan», aggiunge Nico Foni; «Perché possa sentire ancora il profumo dei fiori», dice Laura Neri; «Perché è un uomo e non un alibi», afferma Roberta Spagnoletti. Sulla lotta armata, lui non ha mai parlato molto «né, lo confesso, l'ho sottoposto a un terzo grado. Sì, ne ha accennato, talora, ma per spiegare da quale humus fosse stata prodotta quell'idea: quegli anni erano seguiti alla strage di piazza Fontana». Dunque, sono in tanti a scrivere all'ex predicatore dell'utopia rivoluzionaria e ora che il tribunale della libertà è sul punto di decidere la semilibertà, Curcio freme, ma neppure troppo. «Si occupa ancora con grande passione dei libri che stampiamo, scrive, in questo momento gli sta particolarmente a cuore "Ro- mane Krle - Voci zingare", storie e racconti dei nomadi raccontate da loro medesimi». E nell'attesa della decisione dei giudici, che arriva dopo diciotto anni, osserva Paola Cecchi, «subisce il carcere a modo suo, senza farsi illusioni, non se n'è mai fatte, per la verità. Ha una posizione, come dire?, quasi zen». Vincenzo Tessandori hi, er a i er o, do tti uò el io da ta «Subisce il carcere con filosofia zen ma ora deve uscire» Paola Checchi, manager fiorentina, firma i contratti per Renato Curcio, che essendo privato dei diritti civili non può figurare nel consiglio dell'editrice da lui fondata

Luoghi citati: Ascoli Piceno, Firenze, Italia, Montelupo Fiorentino, Parigi, Pinerolo, Sicilia, Trapani, Trento