Noi italiani d'Istria ostaggi di Tudjman

8 Zagabria accusa la Dieta democratica di separatismo: «Non è vero, vogliamo solo l'autonomia» Noi italiani d'Istria, ostaggi di Tudjman Paura dopo il trionfo elettorale PIPINO (ISTRIA) DAL NOSTRO INVIATO Domenica prossima gli innamorati di tutto il mondo celebreranno la loro festa ma in Istria la ricorrenza di San Valentino è già scattata con sei giorni di anticipo. Con garbo, a suon di bicchierate e balli popolari, facendo dolce, violenza sul calendario grazie allo straordinario connubio tra cuore e politica è esploso pacificamente ad appena poche centinaia di chilometri dalle zone dell'ex Jugoslavia dove si combatte un'atroce guerra fratricida. Cuore perché la Dieta democratica istriana, il grande vincitore delle elezioni regionali dell'altro ieri, era stata fondata appunto il 14 febbraio 1990, data simbolica intesa a sottolineare l'unione delle tre etnie storiche della penisola. L'italiana innanzitutto che si richiama alle orìgini piantate all'epoca d'oro della Repubblica veneta, la croata traslocata di forza nel territorio durante il regime titoista e gli istriani tout court. E politica perché il responso plebiscitario uscito dalle urne rimescolerà le carte del nazionalismo accentratore propugnato da Zagabria dal presidente Franjo Tudjman. «Sì, siamo euforici», ammette Nino Jakovcic, l'imprenditore privato a capo del «movimento delle tre caprette» che ha raccolto il 70 per cento dei voti ed una valanga di rappresentanti che siederanno nel Parlamento delle contee a completare la struttura del Sabor, la Camera dei deputati, e nelle amministrazioni locali. Cifre da capogiro che nessuno prevedeva: 23 seggi su 26 a Pola, 11 su 18 ad Umago, en plein a Rovigno, la maggioranza assoluta sfiorata a Parenzo, oltre a un terzo di suffragi a Pisino, l'odiata capitale che Zagabria aveva imposto all'Istria quando la scelta naturale favoriva il porto di Pola. «Abbiamo stracciato l'Accadizeta di Tudjman che aveva profuso miliardi nella campagna elettorale opponendole un bilancio propagandistico da poveracci, soltanto 35 milioni di lire, di più non avevamo in cassa». Ad operare il miracolo è stato l'ibrido volontariato a tre teste, come spiega Giuseppe Rota, presidente dell'Unione Italiana. «Il nostro è un trionfo senza padrini, privo di colorazioni ideologiche, costruito invece da italiani, croati ed istriani i quali si riconoscono nella volontà comune di affermare la diversità regionale rispettò al resto della Croazia, ossia coabitazione nella gestione pubblica dietro il segno della tolleranza reciproca». Si tratta comunque, avverte ancora Jakovcic parlando nel quartier generale del movimento a Pisino, di una vittoria incompleta in quanto il compito di incasellare i tasselli mancanti del mosaico spetta ora a Tudjman. «Ci accusa di essere separatisti, il che è falso. Siamo autonomisti, pretendiamo il rispetto degli accordi sulle minoranze firmato il 15 gennaio 1991, rimasto in parte lettera morta». E subito Claudio Gessa, membro della giunta esecutiva dell'Unione, elenca gli esempi della «cattiveria» di Zagabria che vanno dalla difficoltà di ottenere la carta d'identità bilingue alla revoca dei permessi di libera circolazione per i residenti dell'ex zona B di Trieste in aperta violazione del trattato di Osimo. Proprio l'onda lunga del complesso negoziato voluto a suo tempo da Roma e Belgrado rischia di rovinare il San Valentino istriano, poiché, a sorpresa, il Presidente croato ha tirato fuori dal cilindro la controversa questione della reciprocità. In sostanza, questa la sua tesi, se la «lega» istriana strilla troppo accampando diritti e doveri autoctoni, lui chiederà all'Italia la revisione delle garanzie in difesa della minoranza croata che abita nel nostro Paese. Che, stando alla recente dichiarazione del premier croato Sarinic, sarebbe composta da 60 mila persone disseminate tra il Molise e il litorale adriatico. «Balle», ribatte Maurizio Premili, presidente dell'Unione degli italiani in Istria. «Non capisco da dove spuntino. Noi siamo 30 mila sparsi tra Croazia e Slovenia, tutti certificati dal recente censimento, mentre Tudjman chiama in causa esuli immigrati che in Italia hanno trovato la loro seconda patria da generazioni e vi si trovano benissimo». Strumentale, dettata forse di getto dalla stizza per la sconfitta subita dal Presidente, potrebbe attizzare la polemica. Però il console generale d'Italia a Capodistrìa, Luigi Solari, preferisce gettare acqua sul fuoco. «Io leggo queste elezioni come un dato positivo. I nostri connazionali a qualsiasi Usta appartengano entrano a far parte degli organi collegiali. Si tratta di un elemento vitale di dialogo e di rafforzamento del carattere multietnico dell'Istria». Insomma, se problemi vi saranno, a risolverli non toccherà ai governi ma alla gente del posto. E già si fa il nome del futuro presidente della contea istriana, quel Luciano Delbianco, ex sindaco comunista di Pola trasmigrato nella Dieta con un atout formidabile. Fu lui ad ottenere due anni fa il ritiro delle forze serbo-federali. Piero de Garaarolli Il presidente croato Franjo Tudjman (foto api