Il cielo in un Campiello

A Milano la commedia di Goldoni, un grande lavoro d'insieme A Milano la commedia di Goldoni, un grande lavoro d'insieme Il cielo in un Campiello Capolavoro d'osservazione psicologica MILANO DAL NOSTRO INVIATO Un «Campiello», come si preoccupava di spiegare Carlo Goldoni ai suoi lettori non veneziani, «è una "piazzetta", di quelle che per lo più sono attorniate da case povere e piene di gente bassa». Nella sua gemale scenografia fatta di nulla per l'allestimento della commedia omonima diretto da Giorgio Strehler e oggi, diciott'anni dopo, ripreso da Carlo Battistoni, Luciano Damiani evitò di cadere nel pittoresco e non ci diede quelle «case povere» così come inevitabilmente apparirebbero oggi, ossia graziosissime. Mostrò, invece, un luogo spoglio, senza alcuna pretesa di organizzazione architettonica; delle mura precarie, addirittura di tela, con qualche stretta finestrella che si anima quando, e capita in continuazione, l'occupante - traboccando letteralmente da locali che immaginiamo mortificanti - se ne affaccia e invade più che può dello spazio esterno, la prorompente Lucietta addirittura spenzolandosi pericolosamente dal suo balconcino precario. Questa attività avviene ai lati della scena, che il centro è occupato da una sola parete fredda e incolore, quella della locanda, con un'unica apertura a disposizione del cavaliere napoletano che parla in lingua e che contempla questo microcosmo con l'occhio divertito del forestiero. Unica decorazione e delicatissima trovata registica, una bassa coltre di neve, che oltre a provocare rigagnoli e scivoloni stimola la fantasia degli abitanti, fornendo occasioni di gioco, e anche munizioni per le risse. Non diversamente dalle «Baruffe chiozzotte» e dalle «Massere», ascoltate due sere fa a Venezia, «Il Campiello» è una commedia corale sul popolino minuto, e in dialetto; è, anche, in ver- si, non i consueti martelli ani un pò' rigidi, però, bensì un misto di endecasillabi e di settenari con qualche rima qua e là, estremamente duttile alla dizione. E' anche, come emerge senza alcuna possibilità di dubbio dal magistrale allestimento di Strehler, un capolavoro: un capolavoro, come le «Baruffe», di osservazione psicologica. Nessuno dei caratteri è stereotipo, ciascuno esiste autenticamente, con le sue passioni e le sue contraddizioni, a cominciare dal meno spontaneo di tutti, il napoletano cacciatore di dote, che si riscatta perché in fondo generoso, e innamorato della vita. Intorno a lui (e all'altro testimone straniero, ma a differenza di lui, infastidito, lo zio Fabrizio, sempre immerso nei suoi libri) serve, travolgendo i suoi uomini, pochi e abbastanza frastornati - il focoso e geloso Anzoletto, l'acerbo e goffo Zorzetto - un fitto gineceo la cui insopprimibile energia Goldoni comunica con arguto incanto, affascinandoci non solo con la grazia permalosa di Lucietta, con le ingenue pretesi sociali di Gasparina, col fuoco adolescenziale di Gnese; ma anche con le fisime di Donna Catte che sogna un moroso e non ha più che tre denti in bocca; con la irriducibilità della sorda donna Pasqua; con la burbera combattività di Orsola, la «frittolera». I loro contrasti concertati in una lingua scoppiettante ci fanno provare per due ore, al Piccolo, qualcosa di non dissimile dalla sorridente curiosità con cui ci si può affacciare a guardare il mondo stando in Paradiso. Onore a un coordinatore che aspira a farci uscire dal teatro dicendo «Che bella commedia» e non «Che bella regia»; e onore, si capisce, ai comici, che hanno amato i loro personaggi fino a convincerci a imitarli. Ricordiamo fra le squisite caratterizzazioni almeno la Gasparina di Giulia Lazzarini, non più giovanissima nel fisico, ma commoventemente aggrappata ai suoi bamboleggiamenti e alla sua pronuncia affettata, da piccola Bianche Dubois delle calli; e la spiritata Catte di Rosalina Neri, che non rinuncia ai suoi sogni a occhi aperti, e la solida Pasqua di Valentina Fortunato; e la vibrante Lucietta di Laura Marinoni dai bellissimi occhi neri... (ma ottime pure le altre due donne, Edda Valente, Orsola, e Giuba Franzoso, Gnese). Gli uomini, eccellenti anche loro, sono Luigi Diberti, Roberto Zibetti, Gianni Mantesi, Elio Veller e Giancarlo Dettoli il cui cavaliere dai capelli bianchi si accoppia bene con l'inedita Gasparina appena appena appassita. Apoteosi, e non poteva essere altrimenti; repliche fino al 9 aprile. MasoJino d'Amico Ripresa la regia che Strehler (ora in esilio volontario) curò 18 anni fa Quattro donne del Campiello: Fortunato, Marinoni, Valente Franzoso. A destra Strehler

Luoghi citati: Milano, Venezia