De Pisis diapason ossessivo

De Pisis diapason ossessivo A Roma in cento opere una straordinaria avventura d'artista De Pisis diapason ossessivo Dal «salotto metafisico» alla follia ROMA IFA in bocca, massiccio, lineamenti marcati, potrebbe sembrare un conI * Itadino. Invece, Luigi Filippo Tibertelli, in arte de Pisis, nato a Ferrara nel 1896 dal marchese Ermanno, terzo di sette fratelli, aveva la stoffa dell'intellettuale: letterato, poeta e pittore. Lo dimostrano lettere, fotografie, documenti e un centinaio di dipinti esposti nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna (sino al 12 aprile, lunedì escluso). «Filippo de Pisis. Dall'avanguardia al "Diario"», la prima grande mostra monografica dedicata al pittore dalla Galleria, presenta accanto agli 80 quadri provenienti da collezioni pubbliche e private, anche i 19 di sua proprietà, i 12 cioè donati dall'artista nel '39 e altri acquistati dopo. Organizzata dal Gruppo Prospettive con la Soprintendenza, curata da un comitato scientifico, segue de Pisis dagli esordi nel 1908 alla fine, nel '56, a Milano. Aperta con qualche polemica per l'esclusione dal comitato di Giuliano Briganti, tra i maggiori studiosi delFartista (morto recentemente), gli rende tuttavia omaggio nel catalogo (Mazzotta) con citazioni e riconoscimenti. In apertura, preziose testimonianze di de Pisis ragazzo: erbari, disegni, tavole dipinte con Uccelli appesi e pesci, con nel retro la scritta orgogliosa: «L. F. Tibertelli de Pisis fece nell'estate 1908 a 12 anni». Il 1916 è un anno speciale, dell'incontro a Ferrara con de Chirico, Savinio e Carrà: «Tra noi c'erano curiose identità di ve- dute ed anche di scoperte», scrive il pittore nel '24. Questo primo momento, oscillante tra futurismo, dadaismo e metafisica, è rappresentato da collages (Composizione I, II, in, IV, Non c'è la fine, del 1916, L'ora fatale, 1919) e da oli (La casa col pino). Nel «salotto metafisico» e nella «camera melodrammatica» della sua casa ferrarese, come li definisce nel romanzo autobiografico Il Signor Luigi B. (Milano 1920) , de Pisis accoglie amici intellettuali e colleziona oggetti rari, conchiglie, pizzi, ventagli, libri antichi, fiori secchi. Ma Ferrara gli sta stretta: «E' un fondo di palude che emette esalazioni mefitiche», diceva. Ansioso di contatti con uomini di cultura, artisti, giornalisti, come Binazzi, Bacchelli, Raimondi, si trasferisce a Bologna, dove si laurea in storia dell'arte, e poi a Roma nel 1920. Nella capitale, dove si ferma sino al 1925, frequenta i Caffè Aragno e Greco, scrittori come Bontempelli e Cardarelli, artisti come Spadini, visita musei. Nasce il suo primo linguaggio fatto di colore denso, rappresentato dai dipinti che vediamo all'inizio della grande sala centrale: nature morte (Composizione col cuore rosso, 1923), ritratti (Contadino del Cadore, 1924), paesaggi metafisici. Dopo Roma, Parigi dal 1925 al '39: periodo fertilissimo. Nella Città deliziosa, che lo sbalordisce per la ricchezza del Louvre, l'artista incontra Braque, Picasso, Matisse, Svevo, Comisso, Palazzeschi. E soprattutto dipinge «en plein aire», cavalletto e tavolozza, come gli impressionisti: composizioni con pesci e conchiglie, con Capricci di Goya, Quadri di El Greco, uccelli, frutta e mille altre fantasie. Ritratti come quel sensuale Ragazzo sulla spiaggia (1927), interni come II salotto del raccoglitore Bianchi in rue Richepense (1930). Fiori e straordinarie vedute di Parigi (La coupole 1928, Place de la Concorde 1931, Strade e vie di Parigi 1931 e 1932, Place Vendóme, I giardini del Lussemburgo, Lungosenna d'autunno 1934. Una Parigi frizzante,., vista da un eccentrico postimpressionista. «De Pisis è il più grande vedutista del nostro secolo. Parigi, Venezia, Roma, Milano sono come il grande alveare in cui i sensi e la mente del pittore ronzano, vibrano fino ad un diapason quasi ossessivo», notava Arcangeli nel 1951. Nel '39 la guerra lo riporta in Italia. A Milano, nel '41 si sistema in via Rugabella, dove abitano molti artisti di Corrente. Amico di Marini, Guttuso, è in contatto con Brandi, Zavattini, Raimondi, come rivelano le lettere esposte. «Io sono - scrive nel '40 della specie di quegli artisti nei quali nulla è casuale e spontaneo nel senso più precisò dell'espressione, e che hanno una specie di gusto innato alla complicazione, all'ironia, alla magia...». Sono davvero magici quei grumi di colore che, buttati sulla tela, creano quell'unica conchiglia (La perla-Ricordo della Duse, 1943) o quel lungo fiore bianco che proietta un'ombra delicata sul muro. La malattia mentale, che lo porta alla morte in una clinica, rende gli ultimi dipinti essenziali, asciutti, come quelle piume azzurre del '53, che sembrano anime pronte a volare. Maurizia Tazartes Sopra il titolo, De Pisis: «Interno con natura morta» (1930). A sinistra, «Piazza del Duomo» (1936), tra le opere esposte a Roma alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna