Maestri di bellezza sottratti alla polvere

A Roma in cento opere una straordinaria avventura d'artista Torino. Da giovedì all'Accademia Albertina Maestri di bellezza sottratti alla polvere ATORINO LLE annose e ricorrenti lamentele sulla situazione museale torinese han Ino offerto belle smentite negli ultimi anni la sistemazione del Museo Archeologico e i progressivi riordinamenti che hanno arricchito e rinnovato il volto della Galleria Sabauda. Ora è la volta di un altro «tesoro», abbastanza segreto, del patrimonio di arte antica. Dall'11 febbraio al 14 marzo, nel salone dell'Accademia Albertina, saranno esposti 29 dipinti e tre sculture della Pinacoteca dell'Accademia stessa in una mostra a cura di Franca Dalmasso, Giovanna Galante Garrone e Giovanni Romano, promossa dall'Accademia in collaborazione con gli assessorati alla Cultura della Regione e della Città e con la Soprintendenza per i beni artistici e storici. Non è solo per dovere di cronaca che cito questo schieramento di enti: la Pinacoteca dell'Albertina è il terzo importante nucleo di arte antica e moderna della città, con la Galleria Sabauda e Palazzo Madama; c'è anche un valore morale e di memoria, perché la mostra fu voluta ed è oggi dedicata al ricordo del direttore Sergio Saroni, sul quale offre una testimonianza assai bella Giuseppe Mantovani nel catalogo Editris. A sua volta Giovanni Romano dichiara con meditato giudizio, nascente da lungL. amicizia, che la scelta delle opere e la mostra si trasformano in toma sorta di autoritratto per interposte immagini di altri tempi: la bellezza che si rivela nelle opere esposte rispecchia, per quanto in forma indiretta, l'alta qualità dell'uomo che le aveva scelte e difese ormai sulla soglia ultima della vita». Questa bellezza, nel senso più limpido e classico del termine, risplende nel confronto fra il Rinascimento toscano di Filippo Lippi e quello, più tardo, piemontese-lombardo di Defendente Ferrari e Spanzotti, con l'ulteriore aggiunta emiliana e romagnola di Francia e Maineri. In effetti, la quadreria del marchese, d'origine vercellese, monsignor Vincenzo Maria Mossi di Morano, raffinato esempio di cultura collezionistica fra '700 e '800, che costituisce uno dei nuclei essenziali della Pinacoteca per donazione a scopo didattico negli anni 1820, spaziava dal Quattro- cento al Settecento, dai centri italiani alle Fiandre. E' tipica di questa origine mercantile-collezionistica privata la presenza di parti di polittici smembrati di cui gli studi moderni hanno poi ricollegato le sparse membra. E' il caso, in quel primo solare confronto di poetiche rinascimentali, delle due ante del Lippi con i Padri della Chiesa monumentali nella loro masaccesca sintesi umana, la cui Madonna centrale è al Metropolitan Museum di New York, e dell'anta con i Santi Francesco e Agata e un donatore, di più nordica nettezza di forme longilinee e smalto cromatico, oggi definitivamente riferita allo Spanzotti. Essa proviene da un altare di patronato Morano in S. Francesco di Casale Monferrato; altre parti sono alla National Gallery di Londra e a Brera a Milano. Una nuova e ulteriore idea di bellezza, drammaticamente emozionale, nascente dalla riscoperta del «patetismo» nei grandi modelli della scultura classica nel primo '500, viene proposta da un altro stupendo confronto fra capolavori. Si tratta di due opere diversamente definite in catalogo, il cartone di Gaudenzio Ferrari Compianto sul Cristo morto e la tavola del fiammingo Maart.cn van Heemskerck Deposizione nel sepolcro, ma in realtà accomunate dalla medesima iconografia, con la sola aggiunta nel fiammingo dei portatori con Giuseppe d'Arimatea e del Golgota sullo sfondo. Anche le ipotesi di datazione, fra quarto e quinto decennio del '500, si avvicinano. Proprio l'analogia iconografica, impressionante nell'imponenza plastica coordinatrice del corpo di Cristo e nelle tipologie della Madonna dolorosa e del S. Giovanni, e l'evidente ricorrenza delle medesime fonti romane, rende evidenti le divaricazioni di civiltà, di cultura nella pari altezza di impegno formale ed emozionale: da una parte il grande respiro della sacra pietà di Gaudenzio, intrinseco alla comunità dei fedeli, e dall'altra l'aspra trasformazione transalpina della violenza drammatica michelangiolesca in una sorta di predicazione terroristica in Heemskerck. Questo confronto fra i centri italiani e l'arte transalpina prosegue per il Seicento e il Settecento: da un lato Cerosa, il caravaggesco Cavarozzi, il pieno barocco del bolognese Franceschini; dall'altro, in coerenza con le note preferenze collezionistiche sabaude, il «genere» militare di De Wael, cittadino genovese dal 1642, le preziose Nature morte di Nicasius Bernaerts, di cui sono ricche le collezioni medicee. Ben documentano la squisita civiltà torinese fra '700 e '800, che sarà tema della mostra storica nel prossimo contesto della grande rassegna internazionale dell'antiquariato al Lingotto, le sculture dei Collino e dello Spalla, i Paesaggi del Bagetti. Marco Rosei sonLonUbelemscograclaproconta dfinGausulfiamskemamela sorta d autoritratto per interposte immagini di altri tempi: la bellezza che si rivela nelle opere esposte rispecchia, per quanto te ndinneldolvidmele dturagnounasacsecdaltranmasortin HQitalsegcenvagrocni; notsabDe 164Nicriccdoctortemprorastiqre Pae

Luoghi citati: Casale Monferrato, Francia, Londra, Milano, New York, Torino