L'Aids uccide il mito nero del tennis

.5 E' morto a New York, era stato il primo atleta di colore a vincere il trofeo di Wimbledon I/Aids uccide il mito nero del tennis Ashe sconfitto dal male che combatté pubblicamente WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'Aids ha chiuso il sipario sulla magnifica ma troppo breve vita di Arthur Ashe la notte tra sabato e domenica al «New York Hospital» di Manhattan. Il grande campione di tennis, poi riciclatosi come tecnico, giornalista, scrittore, attivista nella lotta per i diritti civili, è morto a 49 anni per complicazioni polmonari, una delle manifestazioni terminali più classiche del terribile virus. Aveva contratto l'Aids non a causa di una vita sregolata, ma in seguito a una trasfusione di sangue infetto, subita durante un intervento al cuore cinque anni fa. Il «Washington Post», con un'apertura di prima pagina, piange la perdita del suo più prestigioso commentatore sportivo. I neri piangono uno di loro, che aveva raggiunto la gloria nello sport a prezzo di una dura disciplina e poi l'ammirazione di tutti con l'intelligenza, una grande dirittura morale e l'amore per il prossimo. Tutti gli americani piangono un eroe nello sport e nella vita, stroncato da un'odiosa fatalità, dopo essere stato costretto suo malgrado a rendere pubblica la tragedia che stava vivendo perché i giornali stavano per pubblicare indiscrezioni al riguardo. L'8 aprile dell'anno scorso, le agenzie annunciarono all'improvviso una conferenza-stampa di Ashe, facendo capire che sarebbe stato un evento eccezionale. Ashe, composto e pieno di dignità, non riuscì a leggere interamente la dichiarazione che aveva preparato, perché a un certo punto venne sopraffatto dalla commozione. La moglie Jeanne-Marie continuò la lettura in vece sua. Fu nel momento in cui Ashe rivelò che aveva deciso di tenere segreta la sua tragedia nel timore che là figlia Camera, di 5 anni, dovesse in qualche modo patire le conseguenze di una sua divulgazione. Ashe era furioso con la stampa che, accingendosi a pubblicare la notizia, aveva violentato la sua «privacy». Ma, come sempre, si controllò. J Era nato a Richmond, Virginia, figlio di un modestissimo guardiano di parco giochi. Vedeva molti suoi coetanei poveri di colore finire male. Scelse la disciplina dello sport. Dotato di una classe adamantina, a 19 anni fu il primo nero e entrare nella squadra americana di Coppa Davis. Cinque anni dopo vinse gli U.S. Open, primo di una lunghissima serie di incredibili successi. Nel '70, sbaragliando Jimmy Connors in una bellissima finale, fu il primo uomo di colore a vincere il torneo di Wimbledon. Ne! frattempo si era laureato, aveva servito nell'esercito e aveva cominciato la sua battaglia per i diritti civili, soprattutto contro l'apartheid in Sud Africa. Era stato l'animatore di un grup- po di tennisti che si battevano per l'esclusione del Paese razzista dalla Coppa Davis. Ma Ashe era uno spirito libero e, nonostante la sua battaglia, nel '73, quando finalmente gli venne concesso il visto, accettò di giocare in un torneo di Johannesburg, perché, disse, «i neri che patiscono la segregazione possono così capire che lo sport può aprire loro le porte della vita». Due successivi attacchi di cuore, nel '79 e nell"83, lo costrinsero prima al ritiro dallo sport attivo e, poi, a due successivi interventi per l'installazione di bypass al cuore. Si dedicò a scoprire talenti, tra i quali Yannick Noah. Modesto e timido, Ashe colpì tutti quando, diventato numero 1 tra i giocatori americani, dichiarò ai giornalisti che lo intervistavano: «Voi, ragazzi, siete molto più eccitati di me». Ma aveva un grande orgoglio e un grande senso dell'onore. Diventato capitano della squadra americana di Coppa Davis, abbandonò perché detestava il «codice di condotta» che veniva imposto ai componenti la squadra. ■ Da quel momento si dedicò alla scrittura di una monumentale «Storia dei neri nello sport» in tre volumi, che fa ancora testo in materia. Poi iniziò la carriera di giornalista sportivo. Nel settembre dello scorso anno, a pochi mesi dall'annuncio della malattia, lo colpì un nuovo attacco di cuore. Aveva appena partecipato a una manifestazione di fronte alla Casa Bianca a favore dei rifugiati haitiani ed era anche stato fermato dalla polizia. Paolo Passarmi Contrasse il virus per una trasfusione e fu costretto a confessarlo dai giornali Da allora s'impegnò in prima linea A sinistra Arthur Ashe in un'azione di gioco, sotto mentre alza il trofeo di Wimbledon, conquistato nel 1975

Luoghi citati: Manhattan, New York, Richmond, Sud Africa, Virginia, Washington