Ferreri: Il mio Vizio è il cinema di Fulvia Caprara
Il film a Berlino Ferreri: Il mio Vizio è il cinema Il film a Berlino ROMA. Marco Ferreri è contento, perché è riuscito a realizzare il suo desiderio di rifare un film tipo «La grande abbuffata», «in cui si parla di un uomo semplice, con bisogni e desideri semplici» e di «donne guerriere, solari, vitali che marciano decise incontro ai propri desideri e alle proprie fantasie». Soddisfatto perché la sua nuova opera è l'unico lavoro italiano in concorso al Festival di Berlino, a due anni dal gran successo di «La casa del sorriso», premiato con l'Orso d'oro: «Dopo la proiezione. ci sarà un applauso lunghissimo, fondamentale, e questa è una cosa che mi fa molto felice». Convinto: ancora e sempre di voler essere regista, perché «è l'unica cosa che so fare, il mio lavoro, ma anche un vizio che mi viene pagato. Due anni fa volevo provare con qualcos'altro: ho comprato gli acquarelli, per vedere se ero capace di dipingere, ma poi ho lasciato perdere tutto». Torrenziale, insofferente, allegramente rabbioso e aggressivo, Marco Ferreri, come è nel suo stile, trasforma la liturgia della conferenza stampa di presentazione di «Diario di un vizio» in un happening pieno di risate, urla, provocazioni, giornalisti mandati al diavolo. «Dov'è la speranza nel suo film?», osa qualcuno in sala, e Ferreri di rimando: «La speranza è lì, nel protagonista, Jerry Cala, uno che in un mondo di gente che va a vedere tre volte "Arma letale 3" ha il coraggio e la voglia di mettersi a scrivere un suo diario». «Il suo film comunica tristezza», insistono i cronisti, e il regista parte in quarta: «L'allegria, l'umanità, per voi sono riflesse solo nei film americani... Voi siete raggelati e i raggelati che parlano di tristezza mi spaventano un po'». Al produttore Vittorio Alliata qualcuno chiede timidamente il costo del film: «Due miliardi e mezzo». «I produttori che lavorano con me - precisa subito il regista - a lungo andare fanno affari: il cinema è una cosa molto diversa da quello che voi pensate. I miei film più sono vecchi e più vengono comprati a suon di milioni: "El Cochecito" ne costò 18 nel '60, oggi è stato ricomprato a più di 300. E poi all'estero, in Russia, in Canada, in Svezia, i miei film, come è successo per "La casa del sorriso", riempiono le sale. E' qui in Italia che i media non sono dalla mia parte: il pubblico deve superare la barriera dell'informazione per andare a vedere quello che faccio, perché il sistema lo spinge verso altre cose... Se tutti i giornali scrivono "E' l'anno dei vampiri", è logico che la gente vada a vedere solo quelle cose...». Cosa pensa Ferreri dei nuovi autori del cinema italiano? «Prima di tutto smettiamo di parlare di crisi: ci sono un sacco di registi giovani. Moretti è il numero uno, e poi mi emozionano Marco Risi e Ricky Tognazzi; Amelio no». E cosa dice Jerry Cala dell'esperienza con l'autore di «Dillinger è morto» e «Ciao maschio»? «Ferreri è un uomo molto intelligente, che odia l'ovvio e con cui c'è sempre da imparare». E l'interessato aggiunge: «Se fossi nato adesso sarei un bambino superdotato, anzi in realtà sono rimasto un bambino superdotato e faccio film superdotati anche se, per via di questa mia caratteristica, mi sento abbastanza in camicia di forza». L'ultima domanda è per il regista, riguarda il mare, sempre, nostalgicamente, presente nei suoi film: «Siamo fatti di acqua di mare, il bambino nel ventre della madre sta dentro un liquido che è salato come il mare... E poi a me piace camminare fra le onde, dentro l'acqua i piedi non mi fanno più male». Fulvia Caprara
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