Il secondo martìrio di Kabul città tradita anche da Allah

6 Il secondo martìrio di Kabul città tradita anche da Allah E' riesplosa la guerra tra mujaheddin, centinaia di morti ■■■■ ■ .: >; :"■ V:' : ' " " 7 ::.'■: ' \ FUGA DI MASSA DA UN INFERNO SENZA FINE UKABUL N braciere con il quale scaldarsi mani e piedi: questo è il massimo del lusso a Kabul, devastata dalla battaglia tra lf truppe del governo del presiuenuu Burhanuddin Rabbani e quelle dei ribelli «Hezb-i-Islami» di Gulbuddin Hekmatyar. Rimanere o andarsene, quando i combattimenti cominciano a toccare il proprio quartiere? E' questo il dilemma di migliaia di famiglie della capitale afghana. Un quarto del milione e mezzo di persone che la popolavano ha già abbandonato Kabul. Quando i combattimenti lo permettono, la direzione di fuga è il Pakistan, dove - perlomeno - fa caldo. I Paesi vicini, tuttavia, non sono molto entusiasti di accogliere un nuovo flusso di profughi, dopo averne accolti più di tre milioni negli Anni 80 (di questi, metà ha fatto ritorno in patria nel corso del '92). La frontiera è stata chiusa dopo gli scontri di agosto, ma è tutt'altro che impermeabile. La città di Jalalabad - sulla strada del Pakistan - è una tappa obbligatoria, più o meno temporanea. Qui, la temperatura è mite, c frutta e legumi abbondano nella ricca piana circostante. Due campi accolgono 20 mila persone. Chi ha dei parenti nella provincia tenta di rifugiarsi lì, in attesa di un ipotetico ritorno a Kabul. Le colonne di queste famiglie che cercano scampo dalla guerra sono uno degli spettacoli più comuni - e più sconvolgenti - di questi giorni nella capitale afghana. Si ammassano sui carretti i beni più preziosi, i tappeti prima di tutto, mentre i bambini vengono sistemati tra i sacchi. I più poveri partono a piedi. Sotto un mantello colorato - il «burqa» - che la fa assomigliare a un fantasma, una madre porta in un sacco alcuni pani, un bollitore d'acqua e una piccola riserva di té e zucchero. La figlia primogenita ha in braccio un neonato. Una bambina pian- ge silenziosamente, non di paura - spiega il padre - ma di freddo. Solo i più ricchi possono permettersi un taxi: le persone vi si accalcano all'inverosimile, mentre i bambini vengono sistemati nel bagagliaio semiaperto. Gli hotel sono tutti chiusi. Dal 29 gennaio, il celebre Continental si è trasformato in una specie di Alcazar: i governativi di Ahmed Shah Massud lo presidiano, difendendolo dagli attacchi degli sciiti del gruppo «Wahdat». La vecchia Kabul è ormai andata in rovina. La sede locale dell'Onu, saccheggiata la scorsa primavera, ò chiusa. Ieri, il palazzo presidenziale è stato colpito da una decina di razzi. Da molte settimane manca l'elettricità. Restano le candele e i gruppi elettrogeni per gli uffici e gli ospedali, oltre the per pochi privilegiati. L'acqua non esce più dai rubinetti. Il «chowk» il mercato della frutta e dei legumi, mette in mostra arance, cavolfiori, pomodori e mele. Ma tutto è molto caro a causa del blocco imposto dalla fazione «Hezb». I convogli destinati ai governativi vengono quasi sempre intercettati. Quanto alla circolazione privata, è sottoposta a numerosi pedaggi ed esazioni. L'amministrazione è in condizioni pietose dopo la fuga di numerosi alti funzionari del vecchio regime. La vecchia élite, emigrata negli Usa e in Europa negli Anni 70, teme di ritornare, mentre la paura paralizza i piccoli impiegati che sono rimasti. La giornata di un burocrate consiste nell'andare a firmare il registro delle presenze ogni mattina, tra le 9 e le 10, nell'abbracciare alla moda afghana i propri colleghi (ormai, non sono rimaste praticamente più donne nei ministeri), nel bere qualche tazza di tè e poi nel rientrare a casa. I più coscienziosi restano in ufficio fino a mezzogiorno a discutere intorno a un braciere. A quanto sembra, nessun ordine arriva da nessuno. Nessuno si sogna neanche di far spazzare i frammenti di vetro che cospargono i pavimenti dei locali col- piti dai razzi. Il governo è scomparso da Kabul. Il presidente del «Jamiat» e capo dello Stato, Rabbani, si è nascosto. Il generale Massud lavora molto, ma detesta apparire in pubblico. I ministri vanno e vengono, secondo le fluttuazioni del quadro politico: così, i rappresentanti degli sciiti si sono eclissati dopo che il «Wahdat» è tornato a combattere contro il governo, anche se ufficialmente non si sono dimessi. Al contrario della capitale, le province sono quasi tornate alla normalità, almeno per quanto riguarda la sicurezza. Alcune città, come Mazar-i-Sharif a Jalalabad, hanno riacquistato l'antico splendore (secondo i criteri locali). Ma anche lì, la sola struttura ancora funzionante è quella militare. I quartieri di Kabul sono nelle mani del «Choura-e-Nazar» (il Consiglio di coordinamento delle province del Nord di Massud) oppure dei miliziani uzbeki del generale Dostom o di ufficiali del vecchio regime comunista passati al governo islamico (come il generale Babà Jan) oppure degli sciiti. Le sentinelle, adolescenti armati di kalashnikov e di armi anticarro, controllano tutti i veicoli, in genere senza mostrare eccessivo nervosismo. A volte, qualcuno chiede - senza brutalità - degli spiccioli «per il tè», che secondo un proverbio popolare «è il nervo della guerra». A tre chilometri dal centro cominciano i quartieri tenuti dagli «Hezb». Superare le loro lince, tranne che nei giorni di combattimento, è relativamente facile: i guerriglieri hanno avuto l'ordine di comportarsi meglio degli «jowzjanis» del generale Dostom, soprannominati «i ladri di tappeti». Ma di notte, le sentinelle sono molto nervose e le raffiche di mitragliatrice partono per un nonnulla. Basta la silhouette sospetta di un cane. Il coprifuoco - dalle 22 alle 5 - non è certo rigoroso, semmai all'afghana. Nel centro della capitale, poi, come un'oscura minaccia, si eleva il Baia Hissar, la vecchia fortezza. E' occupata dai miliziani uzbeki e dalla vecchia guardia presidenziale dell'ex presidente Najibullah. Ufficialmente «neutrali» nei combattimenti tra Massud e Hekmatyar, appoggiano in realtà il secondo, probabimente per fare pressione sui governativi e ottenere così ciò che attendono da tempo: posti nei ministeri e al vertice dell'esercito. In questa città abbandonata da Dio e dagli uomini, il solo elemento che rende tutti uguali è rappresentato dai razzi. Cadono su tutti i quartieri. Tutte le ambasciate sono chiuse. Negli ultimi giorni, centinaia di persone sono state uccise e oltre 3000 ferite. Gli ospedali non dispongono che di 400 letti. Jean-Pierre Clerc Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Il massimo del lusso è un braciere per riscaldare mani e piedi Una scena di combattimenti a Kabul [foto apj