Falstaff maledetto

A cent'anni dalla «prima» A cent'anni dalla «prima» Falstaff maledetto EL museo della casa natale di Toscanini a Parma si conserva un esemplare della prima edizione (1913) dei Copialettere di Giuseppe Verdi, con la seguente dedica: «Al mio dilettissimo Arturo Toscanini per ricordare l'immensa gioia intellettuale ch'egli mi diede col Falstaff di Busseto e della Scala - Arrigo Boito». Boito si riferiva all'edizione dell'ultimo capolavoro verdiano diretta da Toscanini nell'autunno del 1913 per il centenario della nascita del compositore; diversi anni più tardi Renato Simoni ricordava di aver visto il vecchio letterato e compositore in lacrime durante una delle prove di quell'allestimento. Non c'è da meravigliarsi: Boito aveva scritto il libretto del Falstaff ed era stato tra i primi a capire la grandezza della partitura. Per di più, da vicepresidente del Consiglio d'amministrazione della Scala nel 1898, Boito aveva praticamente imposto la scelta del trentunenne Toscanini come ciò che oggi si chiamerebbe «direttore artistico» del massimo teatro lirico italiano. Verdi, Boito, Falstaff, la Scala, Toscanini. Nomi ormai inscindibili, anche se Toscanini non era ancora approdato alla . Scala quando vi ebbe luogo la prima del Falstaff, sotto la bacchetta di Edoardo Mascheroni, il 9 febbraio 1893, giusto un secolo fa. Toscanini non potè neanche assistere, perché stava dirigendo una burrascosa lirica Una locandina pstagione lirica a Palermo, ma non tardò a imparare la partitura, a riportarne le più forti impressioni e a volerla eseguire. Ebbe le prime opportunità nel 1894, prima al Teatro Sociale di Treviso, poi al Comunale di Bologna e al Carlo Felice di Genova; nel 1895 diresse il Falstaff al Verdi di Pisa, al Malibran e alla Fenice di Venezia e al Regio di Torino; alla Scala nel 1899, 1913, 1921-29 (tranne il 1926) e in trasferta (a Busseto nel 1913 e 1926, a Vienna e Berlino nel 1929); nel 1904 e 1912 a Buenos Aires; nel periodo 1909-10 al Metropolitan di New York, con tournée a Filadelfia e Parigi; al Costanzi di Roma nel 1911 e al Dal Verme di Milano nel 1915; poi nelle tre riuscitissime stagioni (1935-'37) a Salisburgo e infine per i microfoni della Nbc nel 1950, a 83 anni. Alla fine, l'avrebbe concertato più volte di qualsiasi altra opera nel suo gigantesco repertorio. Toscanini cercò d'imporre il Falstaff dappertutto su un pubblico mica tanto convinto. Perché, se Falstaff aveva quasi sempre e dovunque riscosso dei suaés d'estime, non è che fosse entrato presto nei cuori dei melomani. «Falstaff fiasco! ma proprio un fiasco coi fiocchi», scrisse 10 stesso Verdi all'editore Giulio Ricordi, a proposito dell'edizione genovese diretta da Toscanini nel 1894. «Nessuno va in teatro! 11 bello è che dicono che non si è mai sentita un'opera così perfettamente eseguita e così affiatata! Bisogna dire allora che la musica sia qualche cosa di maledetto!». Di maledetto no, ma d'incomprensibile sì. Furono in tanti, allora, a accusare Verdi di essersi lasciato «wagnerizzare» col Falstaff, sia per l'importanza che aveva dato all'orchestra, pari a quella dei cantanti, sia per la quasi totale mancanza di arie, duetti e così via. Toscanini invece fu probabilmente il primo a capire che il problema era un altro, e r «Falstaff» che anzi Falstaff rappresentava l'antitesi dell'estetica wagneriana. Wagner dice tutto, e più volte, all'ascoltatore; per abbracciare Wagner bisogna sottomettersi alla sua volontà e accettare - almeno al momento dell'ascolto il suo ethos. Il Falstaff"invece è un inno alla ragione, alla necessità di vedere le cose come sono e di accettare semmai soltanto il fatto che siamo tutti inaccettabili di accettarlo con amore. Toscanini era un wagneriano convintissimo, eppure, paragonando l'unica grande commedia di Wagner, tanto amata da lui, a quella di Verdi, ebbe a dire a Adriano Lualdi: «/ maestri cantori sono una magnifica opera: ma il Falstaff h veramente un'altra cosa. Non ve un'opera più bella del Falstaff, più completa, più nuova e più latina... Pensi, un momento, di quanti mezzi musicali - certamente belli - ha bisogno Wagner per descrivere la notte di Norimberga. E guardi come Verdi ottiene con tre note un effetto similmente suggestivo in un simile momento scenico». Falstaff, disse Toscanini, era «il capolavoro assoluto» del repertorio lirico. A Gianandrea Gavazzeni Toscanini raccontò di aver assistito a una delle primissime edizioni del Falstaff, sotto Mascheroni; «se a Verdi piaceva il Falstaff di Mascheroni, non gli sarebbe piaciuto il mio», commentò lapidariamente. Qualcosa però, sulle intenzioni di Verdi, Toscanini sapeva: all'epoca delle prove per la summenzionata edizione genovese dell'opera si era recato dal compositore per risolvere una disputa col baritono Antonio PiniCorsi sul giusto tempo per la frase «Quella crudel beltà» nel secondo atto (Verdi diede ragione a Toscanini), ed è poco probabile che in quell'occasione non parlassero anche di altri particolari della partitura. Quando Toscanini diresse il Falstaff alla Scala nel 1899, Boito comunicò al compositore il proprio entusiasmo per l'interpretazione, e Verdi mandò al giovane direttore un brevissimo telegramma - «Grazie grazie grazie» - che questi avrebbe portato con sé in tutto il mondo, come una specie di feticcio, per il resto della vita. Per fortuna, esistono due registrazioni integrali (ambedue «live») del Falstaff, dirette da Toscanini. La prima fu ripresa da una trasmissione radiofonica da Salisburgo nel 1937, protagonista il leggendario Mariano Stabile, il quale aveva imparato iJ ruolo da Toscanini e assistenti nel 1921 ; la registrazione esiste finora soltanto in edizioni acusticamente scadentissime, ma recentemente il riversamento originale è stato ripescato e restaurato molto bene, e c'è qualche speranza che verrà proposto su compact nel prossimo futuro. La seconda versione, celeberrima (e ora disponibile su due compact acusticamente ineccepibili nella nuova «Toscanini Collection» della Rea), è quella della Nbc del 1950. Manca il sapore di teatro dell'altra e la squisita flessibilità musicale di un Toscanini un po' più giovane, ma è pure un miracolo di leggiadria, effervescenza, amore. Il bravissimo Giuseppe Valdengo e i suoi colleghi riuscirono a «recitare» l'opera come vollero i due Gran Vegliardi, quello di 43 anni fa e quello di 100 anni fa. Harvey Sachs Una locandina per «Falstaff»