Napoli, il sindaco lascia «bruciato» dai sospetti

Il socialista Nello Polese si dimette accusando il governo: troppi disoccupati, nessuno mi ascolta Il socialista Nello Polese si dimette accusando il governo: troppi disoccupati, nessuno mi ascolta Napoli, il sindaco lascia «braciaio» dai sospetti Tredici inquisiti in Comune Lo «scandalo» della telefonata NAPOLI. Due paginette dattiloscritte, per dire: me ne vado, maledetto governo. Ma dietro quello stringato documento firmato dall'ing. Nello Polese, classe 1940, sindaco socialista «politicamente vicino alle posizioni dell'on. Bettino Craxi e a Napoli a quelle dell'on. Giulio Di Donato», come scrive un suo biografo, c'è una lunga storia di sospetti, inchieste giudiziarie, chiacchiere e congiure. L'ultimo atto è andato in scena ieri mattina alle dieci, quando Polese, eletto per la prima volta nel '90 e oggi a capo di una giunta formata da psi, de, psdi e pli, si è presentato in Consiglio comunale per annunciare le dimissioni. Non ha potuto neanche leggere la sua relazione, perché mancava il numero legale. Non gli è rimasto che convocare i capigruppo e consegnare loro il documento. «Sapeva benissimo che la riunione sarebbe saltata - insinuano i suoi nemici -. Così ha evitato un imbarazzante dibattito in aula». In quelle due pagine c'è un attacco durissimo a Roma. «Me ne vado - dice Polese -, perché è intollerabile che un sindaco, il rappresentante di un'intera città, non venga neanche ascoltato dal governo». Poi le accuse: «Napoli è ridotta al lumicino: le procedure per lo smembramento della Sme, la ristrutturazione dell'Alenia, il venir meno degli impegni assunti con i sindacati e la città per la riconversione siderurgica lasciano chiaramente capire che l'unica politica per Napoli è quella della cassa integrazione, e non degli interventi strutturali. Io non me la sento di avallare questa situazione». Le accuse al governo saranno anche legittime, ma è un fatto che da mesi la giunta napoletana, a cominciare dal suo capo, vacilla sotto il peso dei sospetti. Quattro amministratori e nove consiglieri sotto inchiesta, una giunta paralizzata al punto da non poter decidere con chiarezza neanche su problemi come il traffico o le nomine per le aziende municipalizzate. L'ultimo politico a finire nei guai è stato l'assessore alla pubblica istruzione Franco Verde, che ieri, proprio mentre il sindaco rendeva ufficiali le dimissioni, ha ricevuto un avviso di garanzia, il secondo nella sua carriera politica, per abuso d'ufficio. L'altro ieri, è toccato a Antonio Cigliano, anche lui del psi, coinvolto in un'inchiesta sugli appalti d'oro per la rimozione della nettezza urbana. Ma il più tartassato dai giudici napoletani sembra essere proprio lui, Nello Polese. Il sostituto procuratore Salvatore Sbrizzi vuole mandarlo sotto processo per abuso d'ufficio e falsità materiale, ma non è questo il punto più dolente della sua attività politica. La bomba scoppiò il 24 novembre, quando di buon mattino il capogruppo del msi in consiglio comunale, Amedeo Laboccetta, convocò una conferenza stampa e, con un sorriso a trentadue denti, pigiò il pulsante di un ma- gnetofono. Gli altoparlanti diffusero le voci dell'ex questore di Napoli, Vito Matterà, e del redattore capo del Mattino Giuseppe Calise. La telefonata, intercettata in circostanze ancora misteriose, rivelò uno spaccato tutt'altro che edificante del Palazzo napoletano. Matterà caldeggiava un articolo a favore del sindaco lambito dall'ennesima inchiesta giudiziaria, dopo l'arresto di un collaboratore. E Calise aveva l'aria di accettare. Ma quel che più conta è il giudizio espresso dal questore su Polese: «È' roba nostra, anche se politicamente non capisce un cazzo». , .- ÌM . Lo scoop dei missini, sul quale la magistratura sta indagando, costò la poltrona al questore. Cinque giorni dopo anche il sindaco sembrò essere sul punto di dimettersi, ma poi si limitò a rimettere il mandato nelle mani della giunta. Il vulcanico Laboccetta, finito sotto inchiesta per la vicenda dell'intercettazione, non si rassegnò. Poche settimane dopo, si presentò nell'ufficio della Digos e poi nella sala stampa della questura per sparare la seconda cartuccia: un videotape, con le immagini «rubate» durante la Festa dei Gigli, che si tiene a settembre nel quartiere periferico di Barra. Protagonista del fumino era ancora una volta Nello Polese, ritratto mentre, a braccetto con un suo collaboratore poi arrestato per associazione a delinquere, accennava passi di danza con altri misteriosi personaggi che gli avevano regalato una collana di fiori. «Sporche manovre, loschi episodi di intossicazione della vita politica», protesta il sindaco, che se la prende anche con i magistrati: «Non hanno ancora avviato le indagini necessarie». Laboccetta mostra di trovarsi a suo agio nei panni dell'agente provocatore: «Le dimissioni del primo cittadino sono la seconda tappa di quella che io chiamo operazione-bonifica». Qual è stata la prima? «La rimozione del questore, è chiaro. La terza dovrà essere il siluramento del direttore del Mattino». Ma c'è chi parla con grande preoccupazione del veleno che da mesi intossica il palazzo San Giacomo, sede del Comune. Preoccupato ma anche arrabbiato è il professore Piero Craveri, nipote di Benedetto Croce, fondatore a Napoli del «Movimento di azione democratica per le riforme», una «formazione composta da forze laiche e democratiche svincolate dai partiti». Dice che l'atto di accusa di Polese contro il governo contiene pure delle verità, ma suona falso quando a pronunciarlo è il primo cittadino. «Quelle dimissioni avrebbero dovuto essere presentate da un bel pezzo. La verità è che il sindaco, che si è legato a filo doppio con il signor Giulio Di Donato, godeva di una maggioranza forte in Consiglio comunale. Insomma, stando ai numeri c'erano tutti i presupposti perché Napoli potesse essere governata in modo stabile. Invece non è stato fatto nulla. E nulla sarà fatto, fino a che la città sarà guidata da quegli uomini e quei partiti». Quando nacque, il 25 giugno dell'anno scorso, la seconda giunta guidata da Polese sembrò voler partire con il passo giusto. In giunta furono chiamati gli assessori «esterni», uomini autorevoli e al di sopra dei sospetti come Boris Ulianich, docente di storia delle religioni all'Università di Napoli, incaricato di ga¬ rantire la trasparenza della vita amministrativa, Raffaele Cananzi, ex presidente nazionale dell'Azione Cattolica, addetto al delicatissimo settore degli appalti, Armando Albimarini, presidente dell'Ordine degli ingegneri di Napoli, che avrebbe dovuto occuparsi della programmai.iont ielle grandi opere pubbliche. Però Cananzi ha gettato la spugna annunciando le dimissioni, i Janich e Albimarini non sono stati messi in condizione di lavorare come avrebbero potuto. «Sono stati sottovalutati - spiega amareggiato l'economista Mariano D'Antonio -, schiacciati da una politica sempre più deteriorata. Il vero potere ce l'hanno i superassessori, quelli come Silvano Masciari, che fino a un paio d'anni fa cumulava una quantità incredibile di deleghe, o Antonio Cigliano, finito sotto inchiesta. La logica delle fazioni interne ai partiti e poi dei clan che hanno prosperato attorno a questi personaggi ha paralizzato ogni iniziativa di rinnovamento». Un rinnovamento, insiste D'Antonio, estremamente difficile: «Mi duole dirlo, ma abbiamo un ceto politico squalificato, arrogante e corrotto, proveniente da una piccola borghesia famelica, che è il vero disastro del Mezzogiorno. Ma come volete che questi uomini riescano a contrastare lo sfascio delle imprese a partecipazione statale, che chiudono una dopo l'altra?». Commenta Antonio Bassolino, della segreteria del pds: «Il governo è assente, è vero, ma questo sindaco e questa giunta travolti dalle inchieste giudiziarie non hanno mai avuto alcuna autorevolezza, né sono mai stati un punto di riferimento per Napoli». Fulvio Mitene Nella giunta psi, de, psdi, pli fallita la prova degli «esterni» Nello Polese, sindaco dimissionario di Napoli