Quando l'arte scese in strada

Sartre concede allo Stabile il testo di «Mani sporche», che bloccava da dieci anni. Panzierifonda i «Quaderni Rossi», Pasolini scandalizza con «Orgia» Quando l'arte scese in strada Il racconto di Pistoletto: «Nel '68scoppiò tutto» Egli scrittori traducevano Beckett e Ionesco 7*1 TORINO L" UCCEDEVA di tutto a To« rino, in quegli anni. E, I | nell'incubatrice, si prehJ. I parava il resto: quello che sarebbe esploso subito dopo. Forse non c'è stato, nella vita della città, un altro periodo che, in così poco tempo, abbia dato tanto. Tutti i fili della storia riportano lì, in quel crocevia che coinvolge l'università e la fabbrica, la casa editrice e il sindacato, il teatro e la galleria d'arte. La mostra «Un'avventura internazionale. Torino e le arti 19501970» che s'inaugura oggi al Castello di Rivoli, dovrebbe aiutarci a trovare il bandolo. Le arti visive, al centro della rassegna, ebbero a Torino, in quel ventennio, una fioritura eccezionale. Ma non si riesce a comprenderle se non si guarda al clima sociale, culturale, politico in cui gli artisti maturarono le loro esperienze. E la mostra, giustamente, affianca a tele, sculture, filmati, un catalogo che va alle radici della storia: con saggi su teatro, musica, architettura, cinema, fotografia, ambiente sociale. II 1950 è segnato dal suicidio di Cesare Pavese. Il 1970 dalla nascita di Lotta continua. Due avvenimenti che fanno data, segnano un percorso: in vent'anni, è cambiato tutto. Ma potremmo scegliere altri termini, senza variare il risultato. Nel 1950 il pittore in cattedra è Febee Casorati («Tutti prendono ordini da lui: pittori e critici» scrive Maurizio Fagiolo). Nel 1970, alla Galleria di Arte Moderna, con la mostra curata da Germano Celant, Torino celebra l'Arte Povera, il più importante movimento internazionale partito dalla città. E' l'altra faccia della rivoluzione. La stella di Pavese brilla ancora a lungo, attira gli uomini di cinema che leggono la città attraverso le pagine di Tra donne sole e II diavolo sulle colline, come osserva Gian Piero Brunetta. Ma Edoardo Sanguineti, allora ventenne, confessa di avere avuto un solo incontro con lui, finito male: «Gli feci leggere delle cose che non gli piacquero e che io intuivo già non gli sarebbero pia¬ ciute». Un anno dopo il futuro leader del Gruppo '63 scrive Laborintus, non può avere nulla in comune con l'autore di Lavorare stanca. Anche se nessuno lo sa, il tarlo sta già scavando. Negli stessi anni, due giovani autori torinesi spargono in Italia i più salutari veleni che hanno trovato a Parigi: Morteo traduce Ionesco, Frutterò porta Beckett; mentre si avvia da Einaudi la grande traduzione di Musil. Si avvertono molte crepe, nell'edificio letterario. Gli artisti, dall'altra parte della strada, hanno cominciato a sgretolare il proprio. C'è una forte relazione, in città, tra letterati e pittori, come Sanguineti testimonia; e sono i secondi a condurre il gioco. Prima con gli incontri Francia-Italia al Valentino, poi con la Galleria di Arte Moderna, gli Amici dell'arte contemporanea, le gallerie di Sperone, Tazzoli, Pistoi, Torino diventa il polo europeo dell'arte per il pubblico italiano. Sono anni di crescita sociale tumultuosa, non senza lacerazioni, a cui fa riscontro una vita culturale piena di fermenti. «L'arte ha bisogno di una situazione viva, intorno - ci dice Michelangelo Pistoletto -. E Torino ha sentito forte il bisogno di creare un tessuto sociale che funzionasse. E' stata la città che ha dato più vita all'arte e allo sviluppo sociale-economico». C'è un alto scambio internazionale, nella cultura torinese. Vengono Eluard e Camus per i «Venerdì letterari», Barrault e Ionesco in teatro; Nervi costruisce il Palazzo del lavoro a Italia '61, ammirato da Le Corbusier; Sartre concede al Teatro Stabile di Gianfranco De Bosio il testo delle Mani sporche, che vietava a Parigi; Edoardo Fadini, all'Unione Culturale di Antonicelli, porta il «Living», «chiave del nostro apprendistato scenico», come ricorda Guido Davico Bonino. Alla Einaudi ora c'è Calvino, che nel 1963 scrive il romanzo più torinese dopo una giornata elettorale al Cottolengo; qualche anno prima, con la cellula comunista interna, come ricorda nel suo saggio Alberto Papuzzi, ave- va chiesto di rimuovere Togliatti dalla segreteria del pei. Nel 1962 Raniero Panzieri fonda i Quaderni Rossi, seme di future rivolte. All'arcivescovado nel 1965 arriva un intellettuale, Michele Pellegrino, che cambierà segno alla comunità cattolica. Siamo alla vigilia del grande rivolgimento. L'avanguardia teatrale chiama gli artisti (Paolini, Kounellis) e gli artisti sentono il bisogno di creare teatro (Pistoletto). Un architetto della nuova generazione, Pietro Derossi, progetta il Piper. Pasolini scende in un ex garage dell'Oltrepò per allestire la «prima» italiana di Orgia. La data non è secondaria, 1968. Ma già da un anno Einaudi ha stampato, nella traduzione di Luciano e Tilde Gallino, il libro che diventerà la bibbia del movimento studentesco, L'uomo a una dimensione, 120 mila copie in pochi mesi. Quando verrà lo stesso profeta, Herbert Marcuse, per i «Venerdì letterari», infiammerà il teatro. Anche nella tempesta sociale Torino è all'avanguardia. «C'è stata la grande immigrazione dal Sud, che ha trasformato la città ci dice Massimo Salvadori -. C'è stato il contrasto tra la Fiat e il pei in quella che Gramsci ha chiamato la Stalingrado d'Italia. Alla fine degli Anni 60 Torino diventa lo specchio dei problemi sociali italiani, riflette le contraddizioni del boom. C'è un triangolo, da tener presente: la Fiat in sviluppo; la classe operaia in trasformazione; la Einaudi, che gioca un ruolo nella cultura della sinistra, facendosi specchio delle sue contraddizioni. E Torino accende la miccia del '68 italiano, con l'occupazione di Palazzo Campana nel novembre '67». Giulio Einaudi sposta i termini: «La casa editrice è stata un luogo in cui questi movimenti in nuce si sviluppavano, e ognuno poi lavorava per suo conto. Non è stata qui la centrale. Qui si scambiavano le idee». Ricorda i rapporti, ma anche i contrasti, con il gruppo di Quaderni Rossi: «Erano i fermenti che preludevano al '68. Noi li abbiamo sentiti in antagonismo, ma ci ascoltavamo a vicenda. Basta pensare all'attenzione che Norberto Bobbio ha sempre avuto per Panzieri, l'uomo di sinistra più intelligente di quel periodo». Nasce da questo clima, e da queste lacerazioni, anche l'arte di quegli anni. Dice Pistoletto: «Il '68, più che una crisi politica, è stata una crisi di cultura. Noi non abbiamo avuto il tempo di assimilare la cultura industriale. Avevamo una mentalità contadina, e aristocratica. Non capivamo più i ruoli delle persone. Tutto è scoppiato, l'arte è scesa in strada, si è aperta varchi prima non pensabili. Io ho dovuto cercare spazi nuovi, ho sentito il problema del rapporto col mondo. E abbiamo imparato a capire, e agire». L'arte scesa in strada ha cambiato il senso dell'arte. E riflette ancora tutte le ferite di quegli anni, ne porta il segno. Giorgio Calcagno Sartre concede allo Stabile il testo di «Mani sporche», che bloccava da dieci anni. Panzierifonda i «Quaderni Rossi», Pasolini scandalizza con «Orgia» :■' ^àf^>'' : A sinistra: «Persona di schiena», di Michelangelo Pistoletto (del 1962). A destra: il filosofo Herbert Marcuse