«Addio Porcellino rosa» di F. For.

Cremona, fuggirono coi miliardi dell'a2ienda fallita, ora sono separati e lei è uscita vincitrice Cremona, fuggirono coi miliardi dell'a2ienda fallita, ora sono separati e lei è uscita vincitrice «Addio, Porcellino rosa» Assolta la donna del bancarottiere cremona DAL NOSTRO INVIATO All'epoca del crack miliardario del suo amante, della rocambolesca fuga da Vienna all'esotica Casablanca per finire poi in Brasile e in Venezuela, era una splendida ventenne dai lunghi capelli castani, «la più bella giovane a memoria di Torrazzo»., almeno secondo le cronache del tempo: oggi la sua bellezza è più matura, meno aggressiva, sempre conturbante. Michela Ferrari era diventata protagonista delle cronache su quotidiani e rotocalchi nell'agosto del 1985, quando era scomparsa da Cremona con Mario Alquati (allora trentanovenne, imprenditore d'assalto del Cremonese, conosciuto come il re dei salumi, produceva prosciutti col marchio «Porcellino rosa») e la loro figlioletta Beatrice, di appena due mesi. Con la coppia e la neonata si erano volatilizzati anche un bel numero di miliardi. Per giorni la vicenda aveva occupato pagine e pagine di giornali: la «fuga d'amore», com'era stata descritta con un eccesso di romanticismo nei primi giorni, si rivelò in realtà una fuga precipitosa per sottrarsi ad una colossale bancarotta, i cui contorni si delineavano col passare delle settimane: debiti per decine di miliardi, 150 operai sul lastrico, creditori disperati, direttori di banca che avevano concesso ingenti fidi senza preoccuparsi troppo delle garanzie licenziati in tronco. Dopo due mesi, Alquati ritorna in Italia, si presenta davanti ai magistrati che indagano sul fallimento. Arrestato, sta in carcere otto mesi, poi a piede libero attende il processo che viene celebrato nel J987. Con lui sono imputate altre cinque persone, coinvolte nel fallimento delle sue industrie. E' condannato a sette anni e due mesi, ma la corte d'appello nel dicembre '90 sentenzia che gli atti del processo devono essere invalidati perché il presidente del collegio giudicante, Carlo Mario Grillo, in un'intervista aveva manifestato un giudizio sul procedimento in corso prima che venisse emessa la sentenza. Il processo viene rifatto lunedì scorso: dopo quattro ore di camera di consiglio il presidente Enrico Fischetti ha letto la nuova sentenza, un po' più severa rispetto a quella precedente: Mario Alquati è stato condannato a sette anni e sei mesi di reclusione, anche gli altri imputati hanno avuto pene superiori. Ma questa volta anche la bella Michela è finita sul banco degli imputati per un centinaio di milioni ricevuti in pagamento per forniture di merce, milioni che invece sarebbero serviti per acquistare l'elegante villa di via Flaminia dove abita con la figlia e i genitori. Accusa da cui viene assolta perché «il fatto non costituisce reato». Da due anni la «più bella del Torrazzo» e l'industriale d'as¬ salto non stanno più insieme. Lei continua a vivere nella villa alla periferia di Cremona, una grande costruzione rossiccia, stile piccolo borghese, con un giardino non troppo curato, lui ha messo su casa a Brescia, ma lavora quasi sempre all'estero. In questi giorni della coppia che animò le afose e sonnolente giornate di quel lontano agosto di otto anni fa si è tornato a parlare nei salotti e nei bar di questa tranquilla città di provincia dove tutti conoscono tutto di tutti e il pettegolezzo è uno dei passatempi preferiti. Michela, sempre bella, elegante, sapientemente truccata, continua a frequentare il caffè Negresco di piazza Cavour, accompagna la piccola Beatrice a scuola, guardata con cupido interesse da attempati play-boy e da adolescenti ammirati. Quando Mario Alquati venne messo in prigione, lei rimase tranquilla in casa ad aspettarlo, lavorando a maglia come le mogli fedeli delle favole. Adesso nelle chiacchiere dei bar il suo nome viene sovente accomunato a quello di uomini politici, sportivi di fama, ma sono pettegolezzi senza alcun riscontro. Questo processo l'ha riportata di nuovo alla ribalta della cronaca. Una ribalta fastidiosa, che avrebbe evitato volentieri. Proprio per questo, dice, non vuole parlare con i giornalisti. Prima da una finestra della villa, bel viso inquadrato fra i battenti, gli occhi che sembrano ammiccare ma¬ liziosamente, ma è solo colpa del riverbero del sole, rifiuta di riceverci. Poi, al telefono, gentile, ribadisce il concetto: «Mi sono consigliata col mio avvocato: adesso è prematuro rilasciare dichiarazioni. Forse più avanti, fra qualche giorno». Alle insistenze ribatte con una risata: «No, adesso è me¬ glio lasciare perdere». Inutile insistere, cercare di ottenere una battuta su Mario, il suo antico amore, l'uomo che aveva seguito nella fuga per mezzo mondo, dall'Europa all'Africa al Sud America. Per lei questa storia è finita da un pezzo. E almeno per ora non ne vuole più parlare. [f. for.]

Persone citate: Alquati, Carlo Mario Grillo, Enrico Fischetti, Mario Alquati, Michela Ferrari