Magnus il Terribile getta la spada di Domenico Quirico

Si ritira dalla politica Malati, che per 20 anni ha diretto la guerra totale contro i neri dell'apartheid Si ritira dalla politica Malati, che per 20 anni ha diretto la guerra totale contro i neri Magnus il Terribile getta la spada Dal '91 era relegato ai ministero delle Foreste Travolto dallo scatidalo della guerra sporca all'Arie s 1 considerava la sentinella, fedele e insonne, del fortino bianco, un Alamo in perenne stato d'assedio, insidiato anche all'interno da un'infida quinta colonna pronta ad aprire le porte. Tra cinque mesi sul fortino sventolerà trionfalmente proprio la bandiera di quel nemico che ha combattuto per vent'anni, e il generale Magnus André De Merindol Malan esce disciplinatamente di scena, anticipando con un guizzo di orgoglio l'inevitabile, malinconico collocamento in pensione. Da tempo non era più in prima linea. Un giorno aveva dichiarato che le sue truppe avrebbero potuto marciare, bandiere in testa, da Cape Town al Cairo (e forse non era una vanteria vuota), ma dal '91 doveva accontentarsi di presidiare l'umiliante retrovia del ministero delle Foreste e delle Risorse Idriche. Il Sud Africa che sta per saltare il fosso del primo governo multirazziale non ha più bisogno di eroi, con tante medaglie ma anche con un imbarazzante passato. E i generali come Malan sono indispensabili in guerra ma insopportabili in quella che potrebbe diventare la pace. A chi gli chiedeva cosa pensava dell'apartheid rispondeva che «non gli piaceva, ma lo sosteneva perché ubbidiva agli ordini come ogni buon soldato». Non era una bugia. Nella sua armata in fondo l'apartheid meschino era già stato abolito da tempo, i volontari neri erano sempre più numerosi, ufficiali meticci comandavano unità bianche. Ma per questa biblica sfida tra il bene bianco e il male nero Malan aveva, disciplinatamente, inventato una strategia: se il Sud Africa, diceva, è vittima di un «assalto totale», allora la risposta deve essere una guerra altrettanto totale. In prima linea non ci sono soltanto i soldati con i fucili, ma tutta la società, dall'economia alla scuola allo sport ai giornali, che devono mettersi in uniforme e combattere la vitale battaglia delle retrovie. Era un progetto di mi- litarizzazione della società che Malan ha realizzato lavorando a fianco di Pieter Botha, a partire dagli Anni Ottanta. I militari sono saliti rapidamente ai posti chiave dello Stato, gestendo un tesoro formato dal sedici per cento del bilancio dello Stato, occupando i vertici di quello State Security Council che costituiva un supergoverno onnipotente e senza controllo. In un Paese in cui l'esercito era, fino ad allora, educato a un modello anglosassone di severa professionalità e di rigida separazione dal potere politico, è subentrato lo stile dei pretoriani per cui il campo di battaglia inizia sul fronte interno e non ha confini. La colonna di questa società programmata per un conflitto permanente era un gigantesco apparato bellicoindustriale che ha vanificato le sanzioni internazionali. Al servizio di un esercito di oltre quattrocentomila uomini, la cui ossatura erano i diciassettemila Rambo della Permanent Force, micidiali professionisti dell'antiguerriglia. La sua armata ha vinto tutte le guerre esterne, in Angola, Namibia, Mozambico, polverizzando le fragili milizie del Fronte del rifiuto. Ma ha poi perso la battaglia contro la quinta colonna formata dai trenta milioni di neri sudafricani. Perché, sistematicamente, i soldati di Malan sono stati impiegati per difendere l'ordine pubblico, soffocare le rivolte dei ghetti, fare la guardia ai sessantamila uomini della polir zia (per metà neri) di cui il generale si fidava pochissimo. Una guerra senza regole, gestita dal Boss, l'ufficio per la sicurezza dello Stato, incaricato dei dirty trick, le azioni sporche contro il nemico. Una guerra che, alla fine, ha lacerato l'anima dell'armata di Malan, moltiplicando le diserzioni, seminando anche nelle caserme i dubbi e i veleni della lotta politica. E proprio su un'operazione segreta, l'infiltrazione di delinquenti comuni tra gli affiliati dell'Ano per screditare il partito di Mandela, l'onnipotente ministro della Difesa ha perso il posto. Uno scandalo troppo annunciato. Perché l'errore più grosso Malan l'ha commesso, in realtà, nell'85: il suo amico Botha era caduto, il partito conservatore doveva scegliere un nuovo leader. Malan votò per un altro Botha, il ministro degli Esteri. Non diede credito a un oscuro uomo dell'apparato, de Klerk, e sbagliò. Il Gorbaciov sudafricano non ha dimenticato. Domenico Quirico Il generale sudafricano Malan per I I anni ministro della Difesa

Luoghi citati: Angola, Mandela, Sud Africa