Affabulatore solitario in rivolta

Affqbulotore solitario, in rivolta Milano. «Lettera agli attori» di Valére Novarina, in scena al teatro Litta Affqbulotore solitario, in rivolta Linguaggio trafelato con lo stupefacente Pizzuti MILANO DAL NOSTRO INVIATO «Lettera agli attori» di Valére Novarina è uno di quegli spettacoli che andrebbero visti almeno due volte. Oppure potrebbe essere sufficiente assistervi per mezz'ora, addirittura per dieci minuti. Dipende da ciò che si chiede a questo testo immediatamente famoso, scritto nel '74 da uno svizzero di origine piemontese che, non riuscendo a diventare attore, decise di farsi poeta. La «Lettera» nacque come un atto di rivolta: il suo autore la distribuì durante le prove di «L'atelier volant». Doveva essere fra gli interpreti di quello spettacolo, ma il regista lo cacciò per eccesso di contestazione. E Novarina reagì scrivendo ai mancati colleghi tutto ciò che pensava del teatro e del mestiere d'attore. Quando, nell'89, la «Lettera» fu messa in scena al Théàtre Rideau di Bruxelles, con la regia di Bernard De Coster (morto nel '91, a 37 anni), fu un immediato successo. Colpì subito il suo linguaggio trafelato, frantumato, caotico, fortemente inventivo; colpì il radicalismo estetico, quella difesa estrema del lavoro dell'attore, unico vero creatore teatrale, più del drammaturgo, più del regista, «l'antico forcoliere». Novarina sembra animato dallo stesso fuoco di Artaud, per il quale il teatro era una peste e soltanto una fede mistica poteva curarlo. Ma Artaud discuteva, descriveva, deduceva. Novarina, al contrario, urla. Non vuole concetti: gli basta sparare in faccia allo spettatore parole deformate, che si aggregano per simpatia o per allitterazione, ciascuna delle quali vuol essere un concetto, vuole creare un'immagine («uscire di carne, carnevalare, cambiare i sessi e le professioni, e persino cambiare la vita»). Ecco il merito e la qualità della «Lettera». Il resto è un vertiginoso assemblaggio di elementi storici e psicologici, che il bravissimo Pietro Pizzuti spiattella da un'enorme poltrona rossa per convincerci, variando continuamente di tono, che l'attore è tutto. E infatti accanto a sé ha un cubo formato da una gran quantità di libri ingabbiati dentro un reticolo di corde. I libri sono i custodi della parola, sono il simbolo del drammaturgo: perciò chiudiamoli, dimentichiamoli, non servono. «In teatro la parola è riservata al regista e al giornalista, il pubblico è pregato di lasciare il corpo in guardaroba». Ciò che serve è l'attore, rappresentato al massimo grado da Louis de Funès, perché «ne sapeva più di tutti», era capace di spogliarsi di tutto, di dimenticare il proprio corpo, di farci uscire dal «ricco letamaio» e dal «verbo parlato». Nell'invettiva e nella tenerezza, la «Lettera» si appella a Molière, gli chiede di portar via i falsi attori, quelli che non sanno ancora che il loro corpo è un luogo «dove c'è tutto dentro»; tesse l'elogio dell'attore vecchio: «I vecchi attori sono sublimi perché hanno cominciato a separarsi dal loro cor¬ po». E conclude dicendo che «le tombe dell'attore sono profonde poco poco: un semplice sipario di tela a loro basta». Vedete, non è sufficiente sedersi in platea una volta per cogliere tutto ciò che Novarina ci dice. Ma è poi necessario afferrare tutte le sue parole? Non basta impadronirsi di un giro di frase, del soffio gelido di un malumore per capire già tutto? L'uso relativo e personale che si può fare della «Lettera» forse è un pregio, poiché non tira in ballo narcisismi e complicità. E' una pietra. Che altro puoi fare dopo averla scagliata? Il pubblico del teatro Litta, dove lo spettacolo è in scena fino al 7 febbraio per la rassegna «Milano aperta» nella traduzione di Gabriella Drudi, sembra averlo compreso e ha riservato allo stupefacente Pietro Pizzuti calorosissimi applausi. Osvaldo Guerrieri Piero Pizzuti per Novarina: «In teatro la parola è riservata al regista e al giornalista; il pubblico è pregato di lasciare il corpo in guardaroba»

Luoghi citati: Bruxelles, Milano