Arriva il Superbowl e gli Usa si fermano

Sport A Pasadena la finale Dallas-Buffalo Arriva il Superbowl e gli Usa si fermano Fra tv, sponsor e incasso allo stadio giro d'affari per 80 miliardi di lire LOS ANGELES DAL NOSTRO INVIATO Un miliardo di telespettatori, 76 Paesi collegati in diretta tv: il Superbowl, la finale del football americano, ha varcato i confini nazionali. Non è più soltanto l'avvenimento che oggi blocca per l'intero pomeriggio gli States, il match che induce il giudice dell'Indiana, Gary Miller, a rinviare di un giorno un processo per rapina perché l'imputato, libero su cauzione, possa accettare un invito al Superbowl. Ora è il più grande business di un singolo avvenimento sportivo. Di fronte a certe cifre, giù il cappello: al Rose Bowl di Pasadena poco più di 101 mila ricchi (costo medio del biglietto 175 dollari, quasi 250 mila lire) fortunati assisteranno allo scontro tra Dallas Cowboys e Buffalo Bills. E nomi più azzeccati non si potevano immaginare per questo gioco maschio che fa della conquista del territorio, come nel vecchio West, la sua essenza. Botteghini miliardari - 17 milioni di dollari, grande festa anche per i bagarini che chiedono fino a due milioni per biglietto, falsari in azione - ma il grande affare arriva su un altro canale, quello televisivo: 25 milioni di dollari è valutato il costo del Superbowl nel contratto globale del football. E anche se i più importanti network ora registrano allarmati un calo di presenze agli stadi e lamentano un deficit nell'ultima stagione e vogliono rinegoziare l'accordo, non è certo il Superbowl (dove un minuto di pubblicità costa un miliardo e mezzo) ad essere discusso. Con diritti radiofonici, licenze varie, sponsorizzazioni, eccetera le entrate arrivano alla mostruosa cifra di 80 miliardi. Senza contare l'indotto portato dai turisti. Coperte le spese, l'utile è del 50 per cento. Ai giocatori, strapagati, le briciole, un premio quasi simbolico: 50 milioni a testa ad atleti e staff della squadra vincente, la metà ai perdenti. Ma è un proforma: conta conquistare l'anello da campione, far capannello attorno al proprio quarterback, il regista, il biondo 27enne californiano Troy Aikman per i Cowboys e il 30enne Jim Kelly per i Bills, quando nello spogliatoio arriverà, immediata, la telefonata di congratulazioni del Presidente da Camp David. Di Clinton si conosce la simpatia per i Dallas, ma Buffalo ha subito parato il colpo: ospiterà la madre del neo-eletto in tribuna d'onore. Il tutto ovviamente pubblicizzato in ogni particolare, con fiumi di parole dei protagonisti: il silenzio stampa, qui, sarebbe una bestemmia. Il motto è «Tutto per stupire». Così neppure i 15 minuti di intervallo devono andare sprecati: li riempirà Michael Jackson, su un maxi-palco da dieci tonnellate tirato su in campo, in quattro minuti, da 250 operai. E se il Superbowl dev'essere spettacolo per tutti, ecco Marlee Matlin, Oscar per la sua silenziosa interpretazione di «Figli di un dio minore» accanto a chi canterà l'inno americano, per recitarlo nel linguaggio dei segni. E' anche l'occasione per rivendicazioni dei diritti delle minoranze etniche e per lanciare una maxicampagna per il riciclaggio dei rifiuti. Ma dalle 15,15, con il calcio d'avvio, solo lotta di muscoli e armature, le corse di Thurmon Thomas ed Emmitt Smith o le botte di Ken Norton junior, sì, proprio il figlio di Mandingo ex re dei pesi massimi, che è una colonna della difesa texana. Guido Ercole Alvin Harper dei Dallas Cowboys

Luoghi citati: Indiana, Los Angeles, Pasadena, Usa