A cena con Amin il mio amico mostro

«Cinquantotto anni, non sembra invecchiato, ha evitato ogni contatto col mondo esterno» «Cinquantotto anni, non sembra invecchiato, ha evitato ogni contatto col mondo esterno» A cena con Amili, il mio amico mostro // dittatore che terrorizzò l'Uganda NEL RIFUGIO DEL GIGANTE SANGUINARIO LM ALTRO giorno sono an™ dato a trovare un vecchio amico, Idi Amin Dada, ma non posso dire in che parte del mondo si trovi. Non volevo fargli un'intervista. Si è trattato di una visita di cortesia e di un gesto di curiosità. Ho conosciuto Idi ben prima che arrivasse al potere e - se bisogna emettere dei giudizi - dovremmo lasciarli agli africani. E' il Continente Nero e lì si allungano «ombre d'oscurità». A 58 anni sembra sempre lo stesso. Ha evitato ogni contatto con il mondo estemo per anni e adesso prova stupore quando gli ricordo gli orrori di un tempo. Nel '63, due anni dopo l'indipendenza dell'Uganda, Milton Obote - allora primo ministro mi convocò (lavoravo come reporter) per aiutarlo a organizzare una rivolta sulle montagne del Ruwenzori, dove viveva una tribù con cui avevo vissuto a lungo. Idi era un capitano, secondo in comando di una compagnia composta da tribù diverse. I suoi ufficiali britannici lo rispettavano per la sua abilità di leader e per il suo coraggio. Io e Idi ci incontrammo allora. Dopo quella campagna non lo vidi fino all'82. Presidente dell'Uganda dal '71 al '79, diventò una celebrità. Massacri, assassini ed episodi farseschi fecero di lui un mostro da baraccone. Anni dopo, mi capitò di incontrarlo in Medio Oriente, ma avemmo appena una mezz'ora per parlare. Ora, finalmente, di tempo ne abbiamo in abbondanza. Vive in una grande villa, anche se disadorna, con nove figli e Marna 'a Chumaru, madre dei quattro più giovani. A settembre, ha dato a Idi una figlia, Iman - un nome ispirato al Corano. Ci sediamo e cominciamo a cenare con Taban, 38 anni, uno dei figli di Idi, appena arrivato da Kinshasa. Guardo Taban giocherellare con un glengarry, i) berretto scozzese che Idi aveva adottato per le sue truppe speciali. Squilla il telefono: è il presidente dello Zaire Mobutu. Resto solo per un po'. Padre e figlio vogliono tornare in Uganda, ma - insiste Idi - non per riprendere il potere. In patria, è ancora popolare, specialmente tra i contadini, per aver espulso gli indiani e aver posto fine alle intromissioni del governo. Sa bene di essere popolare: gli amici rimasti in Uganda gli scrivono con abbondanza di dettagli. A volte, delle delegazioni vanno a trovarlo. Per il presidente Museveni è ancora difficile attaccare Idi, nei suoi discorsi ufficiali. Idi sostiene che non sono da attribuire personalmente a Museveni le violenze e le atrocità dell'Uganda attuale e dice di non appoggiare coloro che lo vorrebbero uccidere. Idi sarebbe disposto a collaborare con Obote - che esautorò - su una «base democratica», allo scopo di riportare «riconciliazione e pace» nella sua patria devastata. Obote - che si trova in esilio a Lusaka - potrebbe non essere interessato alla proposta, anche perché non ha problemi economici. Ma in Africa gli eventi più strani sono già accaduti molte volte. Improvvisamente, ci viene in mente come - durante una conferenza dell'Organizzazione dell'Unità Africana, a Rabat, nel '72 Idi avesse riempito un momento di stanca dei colloqui, facendo vedere il modo in cui garottava i Mau Mau del Kenya. In quegli anni, gli Anni 50, era caporale dei «Kar», i «King's African Rifles». Il suo plotone, «il migliore del "Kar"», venne prescelto per sfilare davanti alla giovane principessa Elisabetta, quel giorno del '52, quando fu annunciata la sua ascesa al trono. Quelli erano i giorni eroici. Caporale, sergente, sergente-maggiore. Idi si arruolò quando era un «beli-boy» dell'Imperiai Hotel di Rampala e si fece rapidamente strada: la carriera militare lo fece crescere, gli diede la percezione delle sue capacità. Quando, nel gennaio '64, l'esercito si ammutinò, la Gran Bretagna rispose all'appello di Obote di reprimere la rivolta. Ma fu «George» - il maggiore Idi Amin che convinse i soldati a deporre le armi dopo una violenta filippica di oltre mezz'ora. L'anno dopo, Obote espulse gli ultimi ufficiali britannici. Idi fu promosso. Obote stracciò la vecchia Costituzione, mentre Idi prendeva d'assalto il palazzo di re Freddie e poneva fine alla monarchia Buganda. A quel punto, Obote pensò di aver conquistato il potere assoluto. Per un po', Idi gli fece da ombra. Poi, mentre la sua popolarità diminuiva, crebbero in lui i sospetti su Idi e cercò di prendere il controllo dell'esercito. Il tentativo si risolse nell'esatto opposto di quanto previsto e portò Idi al potere. Cosi, il suo secondo incontro con la Regina fu da Presidente. Arrivò a Heathrow l'I 1 luglio '71, senza farsi annunciare. Il giorno dopo, fu invitato a pranzo a Buckingham Palace. Al momento del caffè, la Regina arrivò con tatto al punto che tanto tormentava Heath e il ministro degli Esteri, Alee Douglas-Home. «Mi dica, signor Presidente, a cosa dobbiamo l'inatteso piacere della vostra visita?». L'ospite schioccò la lingua. «In Uganda, vostra Maestà - rispose -, è molto difficile trovare un paio di scarpe numero 48». Ci fu un'esplosione generale di risa, compresa la Regina. Ma, alla lunga, la buffoneria e la spontaneità di Idi si ritorsero contro di lui. Non conosceva quasi nulla delle potenti «tribù» bianche, fuori dall'Africa: i loro valori e i loro nemici. Gheddafi, per esempio. Convertendosi all'Islam, Idi si trovò con una compagnia assai poco raccomandabile. Come se non bastasse, mandò un messaggio a Kurt Waldheim all'Onu in cui si felicitava dell'omicidio degli atleti olimpici israeliani. Nella sua sgargiante uniforme ricoperta di medaglie, l'ex «beli-boy» non si fermò mai a riflettere perché i giornali di tutto il mondo avessero cominciato a trasformare in grandi titoli ogni sua parola. E, tuttora, non se ne capacita. Fu davvero lui - e non un semplice imbroglione - a mandare un telegramma a Nixon, augurandogli «una pronta guarigione» dal Watergate? E, quando gli fu impedito di partecipare al Giubileo del '77 a Londra, fu lui a invitare Ted Heath «a visitare l'Uganda con tutta la banda»? Fu proprio lui. Ma da allora nessuno si preoccupò più di fare troppe distinzioni. I giornali inventavano - dice qualunque falsità su Idi Amin, dando fiato a tutte le voci. Le invenzioni e le esagerazioni continuavano a tormentarlo. Ma c'e¬ rano anche delle atrocità vere e delle vendette tribali a renderle plausibili. Per esempio, la punizione esemplare inflitta ai prigionieri, dopo il disordinato tentativo di invasione di Obote nel settembre del '72. A centinaia furono bastonati a morte. «Lei sa com'è - dice con un mezzo sorriso -, i soldati...». Atti di indicibile crudeltà furono compiuti sotto i suoi occhi, atti che certamente avrebbe potuto impedire. Gli chiedo: «Che cosa rimpiange, Idi?». Per un momento, mi sembra sconcertato, poi comincia a parlare dell'invasione della Tanzania e della sua caduta. Gli dico: «No, non quello. Mi riferisco agli omicidi tribali, alle prigioni militari, ai tanti assassina». A questo punto, ammette il potere quasi senza limiti del suo apparato di spionaggio. «Furono loro a fare i maggiori errori. E furono loro a progettare di uccidermi». Idi si mette a descrivere la costante paura che circonda i vertici del potere in Africa. E commenta, con un po' di ingenuità: «Mi avevano insegnato a combattere. Era tutto ciò che sapevo fare». Oggi è diventato più saggio? Nei suoi anni di esilio, ha «imparato tutto sulla politica». «Le spieghi - mi dice, riferendosi a Margaret Thatcher - che voglio essere suo figlio adottivo. Le dica che sarò un bravo ragazzo». E' uno strano incontro. «Ricordati che siamo speciali agli occhi di Dio», dice, congendadosi. «Lui vede in noi una bellezza che pochi altri notano». Tom Stacey Copyright «The Sunday Telegraph» e per l'Italia «La Stampa» Ancora lo ascoltano Squilla il telefono E' il presidente dello Zaire, Mobutu Amin Dada quando era Presidente dell'Uganda. Qui a fianco il leader dello Zaire Mobutu [fotoap]