«Muoio per salvare mio figlio»

In un diario i sei mesi del dramma Bergamo, ha dato alla luce un bimbo poi è spirata. Il marito: sapeva di non avere speranze «Muoio per salvare mio figlio» Incinta, con il cancro, ha rifiutato le cure ALBANO (Bergamo) DAL NOSTRO INVIATO Dal diario di Carla: «E' di nuovo mattina: ogni giorno in più per il mio bambino è un giorno in meno per me». Viene giù il sole sulle quattro case di Albano, 160Ò abitanti, prime colline della Val Camonica, una decina di chilometri da Bergamo', campi di granturco, strade sterrate, l'ombra lunga del campanile. Valerio, il marito, 34 anni, carpentiere, ha gli occhi vuoti; l'appartamento è pieno di donne con il velo; si sente solo bisbigliare. E Carla, la moglie, 28 anni, è nella stanza di là, dentro alla bara di legno scuro. Carla è morta di una morte speciale: «Per dare la vita», dice Valerio, che ha la faccia smagrita, le mani nervose, il cuore spento. Sapeva di essere ammalata, sapeva che il tumore l'avrebbe fatta soffrire sino all'ultimo e che non le avrebbe lasciato scampo. Ma ha rifiutato ogni cura, perché i farmaci avrebbero danneggiato il feto. Dal diario di Carla: «La mia è una gravidanza magica. Vivrò? Bisogna credere ai miracoli». Valerio: «Sapeva di non avere speranze. I medici le avevano detto tutto: o lei si lasciava curare, rinunciando al figlio, oppure non ci sarebbe stata speranza. Ma lei è stata irremovibile. Fin dall'inizio. La decisione l'ha presa lei. Un giorno mi ha detto: qualunque cosa pensi la gente, qualunque cosa consiglino i medici, io voglio che il mio bambino viva. Non gli farò del male. Non abortirò». Se fosse stata una bambina avrebbe voluto chiamarla Sara, che significa principessa. Invece lunedì scorso, alle 13,30, è nato Stefano, bimbo di sei mesi, sano, ma prematuro, «piccolo che quasi non si vede». Da quarantotto ore se ne sta immobile dentro all'incubatrice, pesa appena sei etti e mezzo, i medici non sanno se ce la farà a crescere e sopravvivere. Valerio: «Lui deve vivere. Abbiamo sofferto tutti, non posso rimanere con un pugno di mosche. Sarebbe terribile». Sì, è una storia terribile questo intreccio di morte e di vita che ha precipitato le facce ordinarie di questo paesello ordinario, dentro alla sofferenza di una scelta straordinaria. Qualcuno, nella piazzetta della chiesa, davanti al neon del bar Illy, già parla di santità. Qualcuno ricorda la storia di Giovanna Beretta Molla, anche lei di queste parti, che 25 anni fa morì per mettere al mondo la propria figlia e che ora il Vaticano si preparare a beatificare. Ma Valerio non ha voglia di parlare di santità. Ha voglia di parlare di Carla. Carla Levati Ardenghi, 28 anni, capelli ricci e neri. Occhi castani, carattere forte. Nata a Seriate. Orfana di padre a 11 anni. Orfana di madre a 13. Cresciuta con la zia e la sorella nel paesone di fabbriche e scatole prefabbricate. Professione: commessa. Valerio l'ha conosciuta in una sabato qualsiasi e l'ha sposata che era ancora una ragazzina, 18 anni: «Indossava un abito rosa, aveva i capelli lunghi, il sorriso». Dall'album di cuoio sfila la grande fotografia a colori. Tutti e due guardano in macchina con gli occhi sbarrati dall'emozione. Lui ha un vestito grigio, la camicia bianca, la cravatta rosa. Lei è un passo più avanti: tiene un mazzo di fiori in mano, ha le guance rosse. La storia del loro matrimonio sta tutta in poche date. 1982: nascita di Riccardo, che oggi fa la quinta elementare, e in questo pomeriggio di lutto sta in una casa qui vicino, lontano dalla confusione e dalla cappa nera del cordoglio. 1986: il trasloco al secondo piano di que¬ sta villetta che Valerio ha costruto da solo, come quasi tutti, da queste parti. «Ho sempre lavorato come un asino. Mi alzo alle 5 del mattino, vado a costruire case su a Milano e alla sera ritorno con la schiena rotta». 1987: la malattia. «Un giorno Carla si è sentita male, siamo andati dai medici di Bergamo, poi all'Istituto Mario Negri di Milano. Ci hanno detto: è un tumore, bisogna operare subito». Ancora 1987: operazione all'utero. 1990: viaggio alle Canarie. Valerio: «Sembrava fosse andato tutto bene. Le cartelle cliniche le ha sempre tenute Carla e lei mi ha detto: è un tumore benigno, ora sono guarita». Non era vero niente. «Ho scoperto tutto dopo, quando a diI cembre si è sentita di nuovo male, i medici hanno guardato le cartelle e mi hanno detto: guardi che sua moglie non se la caverà. Ha avuto un tumore maligno e adesso le è tornato. Mi hanno detto: se si cura, se rinuncia al figlio, possiamo farla vivere ancora qualche anno». Dunque lei non sapeva? «No. Altrimenti avrei fatto in modo che Carla non rimanesse più incinta». Valerio se ne sta sulla sedia in ingresso. Non si è tolto il giaccone verde, ogni tanto si alza, saluta un parente, un amico, poi torna a sedersi. «No, non ho mai discusso la sua decisione. Non voglio neanche chiedermi se ero d'accordo oppure no». Si alza, dice: «Ora devo trovare il suo vestito rosa. Vorrei seppellirla così, con il vestito da sposa. Ma non lo trovo più. Dove l'ha messo?». Va dalla madre, parla, poi torna «Vede, in questi giorni sono andato molte volte a pregare in una chiesetta qua vicino a Torre dei Roveri. Accanto all'altare c'è una Madonna tutta vestita di rosa: bellissima». Dal diario di Carla: «Voglio vivere, ma sto male». Già, il diario: è un'agendina nera che Valerio ha tenuto giorno per I giorno, annotando le piccole frasi di sua moglie ragazzina. La prima l'ha scritta il 21 dicembre, il giorno del ricovero. «Sono tanto stanca. Mi fanno male le gambe e la schiena. E' una brutta giornata». L'ultima ha la data di lunedì 25 gennaio, ore 21,30, l'ora della morte: «Grazie Carla, ciao. Mi hai insegnato a diventare un uomo». Racconta Valerio: «Tenere il diario mi ha aiutato. Non so scrivere, non l'ho mai fatto, ma in quelle settimane mi sembrava l'unico modo per sentirmi più vicino a Carla». Quel lunedì è avvenuto tutto in fretta. Lei è entrata in coma, i medici hanno deciso far nascere il bambino con il taglio cesareo. Lei ha ripreso conoscenza per pochi minuti nel pomeriggio, ha chiesto: «Voglio andare a casa». Alle 17 l'hanno stesa sul suo letto. Quattro ore dopo ha smesso di vivere. Da quella stanza, oltre il vetro smerigliato, si intravedono luci a intermittenza: «E' il presepe. Da quel 21 dicembre non l'ho più smontato. Ora resta lì, non ho mica il coraggio di toglierlo». Pino Corrias In un diario i sei mesi del dramma Venticinque anni fa un caso analogo E adesso il Vaticano vuole beatificare quella donna Valerio Ardenghi, carpentiere di 34 anni, assieme al figlio Riccardo, nato nel 1982 e che ora frequenta la quinta elementare. Ha tenuto un diariq in cui ogni giorno annotava le frasi della moglie, ormai condannata a morire di tumore A destra il piccolo Stefano, nato prematuro di sei mesi, che ora si trova dentro un'incubatrice: i medici non sanno se ce la farà a sopravvivere Carla Leveti Ardenghi, morta dopo aver dato alla luce un bimbo

Persone citate: Carla Leveti Ardenghi, Giovanna Beretta, Illy, Pino Corrias

Luoghi citati: Bergamo, Milano, Seriate, Torre Dei Roveri