Tomba carabiniere litigioso; Caselli giustizia senza eufemismi di Francesco Forte

Non si gioca con la Terra Promessa lettere AL GIORNALE Tomba, carabiniere litigioso; Caselli, giustizia senza eufemismi Per fortuna nessuno lo ha nella sua scorta Ho visto alla televisione e ho letto su La Stampa le imprese non sportive del calciatore inglese Gascoigne e dello sciatore italiano Tomba. Naturalmente già abbiamo i due partiti, innocentisti e colpevolisti. Ma vorrei porre una domanda che non riguarda sport e maleducazione. Riguarda, invece, l'aggressività, la litigiosità di Tomba. Leggo testualmente: «Non è la prima volta che alterca con un inserviente agli impianti». Bene: mi risulta che quel giovanotto sia un carabiniere in servizio. Forse che quando si mette gli scarponi dimentica tutto quello che gli hanno insegnato alla scuola dell'Arma? Forse che è un «carabiniere con licenza di teppismo»? Spero di leggere già domani le misure prese nei suoi confronti dai superiori, almeno loro - mi auguro - legati alla tradizione dell'Arma, pronti a punire un subalterno perché ripreso in tivù con il cappello fuori posto o l'auto di servizio infangata. Ricordo che Cossiga si complimentò con Tomba dicendo: «Mi piacerebbe averlo nella mia scorta». Per fortuna nessuno gli ha dato retta, altrimenti chissà quali pestaggi in nome della sicurezza. Lucio Brandauer, Bolzano Stile piemontese a Palermo Faccio parte di quella «maggioranza silenziosa» non legata a gruppi di potere, politici e non, che pone tutt'oggi, come valori, ai primi posti, l'onestà, la famiglia, il lavoro. Si parla a più non posso, negli ultimi mesi, di una presunta Italia divisa tra Nord e Sud. Alcuni movimenti politici per interessi anche personali, non fanno che gettare, su questo argomento, olio sul fuoco. Credo di interpretare vasta opinione, se dico che anziché inutili elucubrazioni di codesto genere (l'Italia è e sarà unita e unica nel nostro cuore, prima che nella legislazione), ricordiamo che una persona, il giudice Caselli, senza tante parole, ha scelto da piemontese autentico la via «di un'Italia migliore», diffondendo la legalità in Sicilia, dove il Paese più soffre nell'illegalità. Questi sono gli esempi che i mass-media devono evidenziare. Non altri, a mio parere. Riccardo Perotti, Torino Senza la tv, Sgarbi è un professorino Ho seguito alcune puntate su Canale 5 di «Sgarbi quotidiani» e mi è parsa così smaccata l'intenzione del conduttore di andar controcorrente da indurmi a non seguirlo più. La supponenza e l'arroganza di Sgarbi sono arrivate a tal punto che egli si crede in diritto di insultare tutti quelli che non la pensano come lui. La sua violenza verbale non è certamente nella tradizione del partito in cui milita. Penso che se non ci fosse stata la tv, privata e di Stato, a fargli da cassa di risonanza, oggi Vittorio Sgarbi non sarebbe altro che un professorino di Storia dell'Arte in qualche sperduto liceo di provincia. Benito Maccarello La Morra (Cuneo) Sbardella e la critica politica Un mese fa, proprio alla vigilia di Natale, La Stampa aveva commentato in prima pagina, a firma di Filippo Ceccarelli, una notizia ripresa anche dagli altri giornali. Si trattava di una sentenza della V sezione penale della Cassazione, che mi assolveva, assieme al giornale per cui scrivo, l'Espresso, dal reato di diffamazione a mezzo stampa nei confronti di Vittorio Sbardella. A far rumore erano state le ragioni per cui la Suprema Corte aveva giudicato legittimo il mio articolo, pubblicato alla vigilia delle elezioni al Comune di Roma: in campagna elettorale era lecito ai giornalisti alzare i toni della critica nei confronti dei politici. Mi è molto difficile capire perché Filippo Ceccarelli ne avesse tratto la convinzione che quella sentenza significava «libertà di insulto e di parolaccia». Tutto il suo commento era infatti una preoccupata lamentazione a proposito dello «straordinario trofeo di volgarità» che d'ora in poi avrebbe accompagnato gli italiani in campagna elettorale. E la sentenza veniva definita ad¬ dirittura come «un piccolo contributo all'imbarbarimento». Adesso che sono uscite le motivazioni della Cassazione è possibile constatare quanto quei giudizi fossero affrettati e ingenerosi. E quanto quella sentenza sia importante in un momento in cui i giornalisti hanno sulle spalle il compito particolarmen¬ te pesante di raccontare le malefatte di una parte della classe politica. L'impostazione della Cassazione è che la critica politica, che ha le sue radici nell'articolo 21 della Costituzione, è un diritto che diventa più ampio in campagna elettorale, specie se la posta in gioco è «il rinnovo del Consiglio comunale in una città importante come Roma». Il punto chiave del ragionamento è che i cittadini, prima di votare, devono poter essere informati fino in fondo su fatti e opinioni che riguardano i politici. E quindi che specie in quelle circostanze il diritto di critica politica prevale su quello alla reputazione personale. A tutto questo c'è un'importante postilla: le critiche devono riguardare l'uomo politico nell'esercizio della sua funzione pubblica «e non anche la sua sfera personale» e non è lecito sconfinare nell'ingiuria e nella contumelia. Siamo quindi molto distanti dagli scenari di inciviltà disegnati da Filippo Ceccarelli e che comunque sono sempre stati lontanissimi dal mio stile di lavoro. Stia tranquillo, non c'è nessuna «repubblica di Porcareccia» nel futuro dell'Italia. Spero piuttosto, come la grande maggioranza dei giornalisti italiani, che non si profili una repubblica a libertà di stampa limitata, se dovessero andare in porto le iniziative legislative nei confronti dei giornali che si vanno agitando in queste settimane. Chiara Valentini, Roma Forte: difendo il progetto in Somalia Non entro nel merito della polemica del Washington Post sulla cooperazione italiana in Somalia, che è per lo più ingiustificata. Spendere 40 miliardi per un ospedale, con attrezzature moderne, in uno Stato africano dove si finanzia una facoltà di medicina, non mi sembra una cosa cervellotica, come fa credere il giornalista del Washington Post che non è mai stato in un «lazzaretto del Terzo Mondo», come l'attuale ospedale di Mogadiscio. Mi soffermo, invece, sull'opera specifica del Fai (da me diretto dall'85 all'86) che l'articolista critica: cioè la strada bitumata (non autostrada!) Garoe-Bosaso, realizzata a tempo di record (450 km in 2,5 anni compresa la progettazione!). Essa non attraversa il deserto, ma la Migiurtinia, che - nel suo isolamento colpita da fame e siccità - stava andando verso la desertificazione ed è, così, rifiorita. Essa si completò col (piccolo) porto di Bosaso sul Golfo di Aden da cui si può esportare bestiame al mondo arabo. Questa strada dischiuse l'accesso a 36 pozzi, alcuni a profondità di 500 metri, attuati nel progetto Fai, che ricavano, per la popolazione e il bestiame, acqua sotterranea che, diversamente, avrebbe continuato a perdersi nel mare. La cooperazione danese ha completato l'opera con un progetto pesca a Bosaso. Il Fronte di salvezza democratica somalo - oppositore di Barre dal 1980 -, che ora governa pacificamente la Migiurtinia, ha favorito e difende queste opere e invoca la presenza dell'Italia sul suo territorio. Il segretario generale delle Nazioni Unite Boutros Ghali ha indicato la Migiurtinia come la regione da cui partire per la ri presa della Somalia e ciò non è piaciuto ad Aidid, che lo ha fatto fischiare dai suoi soldati-ragazzi a Mogadiscio. Dimenticavo: in Migiurtinia, di recente, si è trovato petrolio Il fatto che l'Italia sia presente in Somalia e sia molto gradita proprio nel Nord, ove l'oro nero si trova, sembra destare in altri Stati occidentali un trasporto amoroso per la Somalia che non avevano mai espresso prima. sen. Francesco Forte, Roma presidente commissione Finanze e Tesoro del Senato