Come ti copio Raffaello e Leonardo
Archeologie del futuro. La storia dell'arte rivisitata dal «torinese» Salvo Archeologie del futuro. La storia dell'arte rivisitata dal «torinese» Salvo Come ti copio Raffaello e Leonardo Santi, eroi, monumenti diventano oggetti ludici VERONA HISSA' cosa avrebbe pensato il grintoso Cosmé Tura, il «padre» della pittura ferrarese del '400, di fronte a quel San Giorgio e il drago? Una «copia» del suo, certo, ma più pallida, annacquata. E Bonanno, nel vedere la sua Torre simile a quella di cioccolato bianco venduta nelle pasticcerie di Pisa? Probabilmente, orgogliosi che la fama delle loro opere sia giunta sino al Duemila, si sarebbero divertiti. Perché quelle interpretazioni hanno fascino e personalità. E Salvo (Salvatore Mangione), nato a Leonforte in provincia di Erma nel 1947, ma torinese di adozione, lo sa benissimo. Lo dice la mostra «Salvo. Archeologie del futuro» (Galleria dello Scudo, sino al 31 gennaio), che raccoglie una cinquantina di olii dal 1972 al '92 (curatore Renato Barilli, catalogo Mazzotta). Passato e futuro che si incontrano: santi medioevali, eroi classici, dèi dell'Olimpo, «capricci» settecenteschi, monumenti antichi, interni di chiese nordiche e minareti, rivisitati e proiettati nell'avvenire. Autori come Raffaello, El Greco, De Chirico presentati con un volto nuovo, fatto di leggerezza, luce, ironia. «Prendiamo l'immagine di una bottiglia», dice Salvo, «Rem- brandt la farebbe con la luce del caminetto, Vermeer con la luce della finestra, Seurat a puntini, Cézanne a colpi di spatola, Morandi slavata, Picasso dipinta da più angolature. Ma non è detto che le proprietà della bottiglia siano così tutte svelate, esaurite. Il pittore scadente è quello realistico, fotografico, che adopera una luce sola, generica, fissa. Tu prova ad aspettare che tramonti il sole, che venga la notte, l'aurora. Qual è più la realtà della bottiglia?». Curioso è il percorso di Salvo. Dopo l'infanzia in Sicilia, arriva a Torino, dove lo colpisce la mostra di Francis Bacon nel 1962. A 16 anni espone un disegno «da Leonardo» alla 121° Esposizione della Società Promotrice di Belle Arti. Fa ritratti, copie da Rembrandt e Van Gogh, Fontana e Chagall. Nel 1969 conosce Merz, Zorio, Penone e frequenta la galleria di Gian Enzo Sperone. Si dedica a lavori fotografici ed esegue lapidi in marmo con incise frasi o parole («Idiota», «Respirare il padre», «Io sono il migliore»). Ma la svolta è del 1973, quando recupera la storia dell'arte tradizionale. Cominciano i suoi «d'après» del '400 che vediamo in mostra, con le loro linee semplificate e apparentemente ingenue. Nel 1974, nella rassegna di Colonia, «Projekt '74», chiede di esporli al Wallraf-Richartz Museum accanto a opere di Simone Martini, Rembrandt e Cézanne: ambizioso e coraggioso. Nel 1976 nascono i paesaggi con rovine, che traducono con ironia ricordi metafìsici di De Chirico e vedute del '600 e '700, nel 1978 è la volta della mitologia, nel 1979-'80 dei «luoghi»: forme sintetiche, colori intensi. Nel 1980 Salvo si è ormai affermato e la sua realtà si trasforma in sogno: le architetture rosa, le cupole arancio, le colonne lilla e avorio, i minareti blu diventano oggetti magici, innervati di luce, fosforescenti, al neon insomma, come i pittori di prima non li avevano ancora fatti. Ed è questa forse la novità. Maurizia Tazartes «Rovine», olio su tela dipinto nel 1984, fra le opere di Salvo in mostra a Verona
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