Sisto V disse: facciamo la rivoluzione

Una grande rassegna a Palazzo Venezia racconta come trasformò il volto (e la politica) di Roma Una grande rassegna a Palazzo Venezia racconta come trasformò il volto (e la politica) di Roma Sisto V disse: facciamo la rivoluzione Volle il Cupolone e sgominò i briganti del JROMA N cinque anni di pontificato, dal 1585 al '90. Sisto V, attraverso il fedele e pragmatico architetto Domenico Fontana, impresse un'indelebile orma crociata sulla Roma che si era ritratta nel Medioevo, e appose sulla sommità dei quattro obelischi «magici» e pagani, da lui rieretti, l'insegna sacra e gentilizia di croce, stella e tre monti. La Roma di Sisto V. Arte, architettura e città fin Rinascimento e Barocco è visitabile, fino al 30 aprile, a Palazzo Venezia, in una mostra curata da Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna. Troviamo le immagini marchigiano Felice Peretti, accolto tredicenne dai Francescani di Montalto e poi, nel 1547, nell'Ordine, e i suoi paramenti d'oro donati al Duomo di Montalto; il modello ricostruttivo della colossale vigna-giardino-villa Montalto fra S. Maria Maggiore e le Terme di Diocleziano; e le piante della Roma del predecessore Gregorio XIII (con l'incisione originale del Cartaro del 1576) e della sua Roma «riformata» (con l'incisione del Tempesta del 1593). L'abate Grillo nel 1595 scriveva: «Io sono in Roma e pur non ci trovo Roma: tante sono le novità degli edifici, delle strade, delle piazze, delle fontane, degli acquedotti, degli obelischi e dell'altre stupende meraviglie con le quali ha Sisto, gloriosa memoria, abbellito questa vecchia rimbambita che io non ci conosco né ci ritrovo per così dire più vestigio di quella Roma Antica che ci lasciai ha già dieci anni quando me ne partii». Infatti Sisto fu un martellante costruttore-distruttore. In due anni e mezzo realizzò il progetto michelangiolesco della cupola di San Pietro (di cui è esposto il grande rilievo del Vanvitelli custodito nel Palazzo Reale di Caserta) e in tre distrusse la continuità visiva dei tre cortili scalari del Belvedere Vaticano di Bramante, interponendovi la severa mole del Fontana per la Biblioteca Sistina, dando l'addio, da rigorista tridentino, al «teatro del Piacere», luogo di giostre e di tornei. Abbatté, poi, gli ultimi resti del «Settizodio», l'ingresso monumentale ai palazzi imperiali del Palatino eretto da Settimio Severo, modello riverito dagli architetti del pieno Rinascimento e soprattutto da Bramante. La mostra ne offre i pochi resti scultorei e architettonici, frutto di recenti scavi. Nel frenetico periodo sistino, frammenti dei marmi del Settizodio furono reimpiegati per reintegrare le gravi lacune della Colonna Antonina, riconsacrata, o meglio esorcizzata, con l'aggiunta della statua di S. Pao- lo. Anche in questo caso, i recenti lavori di pulitura e restauro hanno permesso di offrire alla mostra ì rilievi grafici del fregio, che evidenziano le parti scultoree originali e le integrazioni «inventate» all'epoca di Sisto V. Operazione singolare ma non difficile, sotto un papato in cui la principale funzione della pittura era quella di ricoprire con grandi cicli e fregi narrativi, allegorici e emblematici, le infinite pareti: dal Palazzo Laterano alla Scala Santa, dalla Cappella Sistina in S. Maria Maggiore alla Biblioteca Vaticana, sotto la sferza di chi, ancora cardinale, era descritto di natura «terribile, imperiosa e arrogante». Di lui il Belli dirà «fra tutti quelli c'hanno avuto er posto/de vicari de' Dio, min z'e mai visto / un papa Rugantino, un papa Tosto, / un papa Matto, uguale a Papa Sisto». Entrò in conclave sessantacinquenne, apparentemente vecchio, stanco e malandato: appena eletto «si raddrizzò di colpo ponendosi da solo la tiara sul capo». Frate imperioso, grande naso e occhio fulminante, come ce lo restituiscono il bel Ritratto di collezione parigina attribuito da Zeri a Filippo Bellini o il Busto in bronzo di Sebastiano Torrigiani passato da Villa Montalto al Duomo di Treia nella patria ma- ceratese. A parte la proposta organica e ricostruttiva dei pannelli del fregio salvato dalla villa Montalto, che celebrano le glorie architettoniche e le imprese araldiche di Sisto per mano dell'impresa decorativa di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra, la mostra può offrire, dei grandi cicli pittorici, solo gli studi grafici, dedicando ad essi una piccola ma preziosa sezione, nella quale spiccano i fogli del Salimbeni, del Lilio e del Cigoli. Al visitatore proponiamo il raffinato gioco di sponda fra il foglio a penna di Paul Brìi per un Mare in tempesta, affrescato nella Scala Santa e proveniente dal Louvre, e la stupenda piccola tela della Ca' d'Oro di Venezia con Giona nella tempesta. Sono le grandi ambiguità di quella che Zeri, nel suo libro su Scipione Pulzone (presente in mostra con quella Sacra Famiglia della Galleria Borghese, di agghiacciante bellezza, che sarebbe ora di liberare dalla vernice ingiallita) definisce la «pittura senza tempo» che fonde Controriforma e neofeudalesimo: minuzie illusorie, pietismo ed ultimi vezzi manieristici. Tipici esempi in mostra ne offrono i macchinosi, indifferenti teloni sacri di Jacopo Zucchi, l'ultimo approdo della grande eleganza parmense nell'Amore e Psiche dello stesso pittore, proveniente dalla Galleria Borghese e anch'esso ottuso da una patina di sporcizia, e infine l'ambigua preziosità dell'Allegorie della creazione su rame. Mentre, alla fine del percorso, spicca di gran lunga la gran pittura della Visitazione del Barocci da S. Maria della Vallicella, assai cara a Filippo Neri. Marco Rosei Frate imperioso dal grande naso, per il Belli fu un pontefice «Tosto, Matto e Rugantino» Roma Felice Peretti (Sisto V) in un'incisione dell'epoca Due «teloni sacri» del parmense Jacopo Zucchi: a destra, la «Natività del Battista», sotto, «San Giovanni decollato» Felice Peretti (Sisto V) in un'incisione dell'epoca

Luoghi citati: Caserta, Roma, Venezia, Zeri