SPAGNA l'anno del Pelegrìn e degli affari

SPAGNA miti e riti del '93. Da Madrid a Barcellona, il nuovo pragmatismo spazza via gli antichi tabù SPAGNA Vanno del Pelegrin e degli affari MADRID NNUNCIATO dalla voce di Julio Iglesias, arriva dal millenario cammino di Santiago il «Pelegrm». Il '93, Anno Santo, in Spagna è dedicato alla Galizia. Il cantante è l'ambasciatore mondiale di «Xacobeo '93»: 365 giorni al ritmo di due spettacoli quotidiani, uno show ai raggi laser dal santuario di Santiago de Compostela il 25 luglio, giorno di San Giacomo. Non si sono quasi ancora spente le luci, né chiusi i conti del '92, che già «l'infame pupazzo» - come El Pois ha battezzato il Pelegrm, la mascotte dell'Anno Santo - nel bombardamento di tv e giornali si sostituisce al Cobi olimpico e al Curro dell'Expo di Siviglia. Il '92 ha celebrato il nuovo mondo, Colombo, la scoperta. Non avrà per caso anche liquidato il vecchio? Il '93 si prospetta duro, eppure, nonostante l'indice allarmante di disoccupazione e la svalutazione della peseta, il modello socialista culminato nei fasti del '92 si estende, trionfa, penetra nella società intera. La novità è che il disinvolto pragmatismo così spesso rimproverato al psoe adesso rivede e trasforma i simboli più profondi dell'ispanicità. Molti antichi tabù vengono infranti. Cambia l'immagine che l'Europa ha della Spagna, oltre a quella che il Paese ha di se stesso. Sfumano l'austerità, l'orgoglio, la fierezza e il disprezzo del mercantilismo riassunti nella figura dell'Hidalgo, il nobile povero che non accettava di «sporcarsi» le mani e l'anima con il lavoro. Cambiano totalmente di senso il commercio, la finanza, attività disprezzate e per secoli delegate a arabi e ebrei, oggi ambite da tutti. Certo, in Spagna gli aristocratici lavorano da tempo. E con successo. Ma adesso ci sono due nuove parole d'ordine: pragmatismo e immagine. La coppia esemplare è quella formata dal barone Heinrich Thyssen e dalla moglie Tita Cervera, catalana ex Miss Spagna. I due hanno ceduto allo Stato, cioè affittato a buone condizioni, la collezione Thyssen-Bornemisza. Grazie al nuovo museo Madrid è salita ai primi posti nell'offerta mondiale di musei e i Thyssen sono diventati eroi delle cronache, ospiti fissi sulla stampa rosa. Il successo è sempre più di moda. E le notti di Madrid sono ancora le più lunghe d'Europa. Niente austerità ma più stanchezza, a cui si rimedia con una pastiglia di Ecstasy. E' la droga che fa tendenza, perché più di ogni altra mette in corpo Tener- già per muovere bene i fianchi ballando una «salsa» al «Calentito», il locale ultima moda degli alti «ejecutivos» e delle signore in abito Chanel. Salsa, rumba, merengue o pachanga arrivano dai Caraibi in versione edulcorata, non sono i ritmi autentici che piacciono tanto a Pedro Almodóvar. Ma se fossero ancora troppo caldi e sensuali, c'è sempre il porta-preservativi da borsetta, piatto e d'argento, in vendita nei negozi esclusivi della capitale. E la Catalogna? Lì l'austero e orgoglioso Hidalgo castigliano è una figura che non ha avuto mai molto corso. Lo spirito imprenditoriale e borghese, invece, è di casa da tempo. Le novità, però, non mancano. A Barcellona il nuovo anno si apre con il bilancio post-olimpico: i debiti per le opere pubbliche ammontano a 45 miliardi di pesetas (quasi 600 miliardi di lire). Le strade sono trasfigurate da cartelli che reclamizzano uffici e complessi residenziali, e fanno assomigliare la città a un gigantesco saldo di fine stagio¬ ne a cielo aperto. Intere porzioni di Barcellona sono state sventrate e ricostruite. Luoghi storici della mitologia cittadina come la Barceloneta o il Barrio Chino sacrificano all'igiene e alla tranquillità sociale l'«allure» peccaminosa che ispirava Jean Genet. Il porto alberga l'ultimo grande cantiere: il nuovo Centro affari e la Borsa di I. M. Pei, lo studio che ha progettato la piramide del Louvre. E inoltre un grande Centro commerciale, collegato direttamente alle basse pendici del viale della Rambla, proprio dove adesso passeggiano gli ultimi marinai e prostitute. Barcellona guarda al futuro con poche nostalgie, e individua una nuova strada per il nazionalismo. Messi da parte toni esacerbati e perentori, si pensa alle prossime elezioni. Se il psoe dovesse uscirne costretto a un governo di coalizione, come sembra quasi certo, l'insolito alleato potrebbe essere proprio il nazionalismo catalano. Il dibattito tra governo e autonomie, non solo in Catalogna, di¬ venta sempre più una discussione sui finanziamenti. E la Generalitat, la Regione autonoma catalana, concentra tutto l'orgoglio e gli entusiasmi sulla diffusione della lingua. Una campagna d'immagine chiama in causa anche gli scrittori. David Leavitt, invitato a trascorrere un soggiorno a Barcellona, pubblicherà un romanzo sulla guerra vicile. Lo ha annunciato sul New York Times in un articolo in cui recensiva con entusiasmo un vecchio libro catalano appena apparso negli Stati Uniti. L'autrice, racconta Leavitt, si chiama Victor Català, cioè vittoria catalana. Un bel cambiamento per un Paese che nel giorno della sua festa più importante, l'H settembre, celebra una sconfitta. La inflissero nel 1710 gli aragonesi ai catalani. Ma sono tempi lontani. Nel messaggio d'anno nuovo, il sindaco Pascual Maragall ha invitato Barcellona e i catalani «a superare la cultura del lamento e del masochismo». «Una città che ha saputo organizzare i giochi olimpici alla perfezione - ha detto - è più ricca e più saggia, e deve affrontare il futuro senza pessimismi, senza cadere nel pozzo della crisi». Eppure qualcosa si sottrae alla rivisitazione, rimane tabù per le immaginazioni e le coscienze: è la Corona, il Re. La televisione inglese ha trasmesso all'inizio dell'anno un programma confidenziale dedicato a Juan Carlos e famiglia, subito ripreso dalla tv spagnola. Una primizia, una novità assoluta per la riservatissima Corona iberica. La reazione è stata immediata. La sindrome britannica minacciava di estendersi. Nel corso del primo dibattito della storia televisiva dedicato all'«immagine del Re», Juan Carlos è stato velatamente rimproverato di essere troppo simpatico, affabile e alla mano. E' stato pregato di tornare ai suoi doveri: di essere cioè lontano, più incorporeo, più simbolo, più «Re» e meno «Juan Carlos». E di essere in futuro, almeno lui, più austero. Anna Rabino Ora tutti inseguono soldi e successo, persino l'Hidalgo si «sporca le mani». Solo da Juan Carlos si vuole austerità Nella foto grande, lo scorcio d'una strada di Madrid. A sinistra, il cantante Julio Iglesias «ambasciatore» di «Xacobeo '93» A destra del titolo, re Juan Carlos e la regina Sophia: dopo le vicissitudini della famiglia reale inglese, gli spagnoli li vogliono più austeri. In alto a destra lo scrittore Manuel Vàzquez Montalbàn