Ministero in attesa di giudizio

Un sondaggio tra i «vip» del settore sulla proposta di abolire il dicastero dell'Agricoltura Un sondaggio tra i «vip» del settore sulla proposta di abolire il dicastero dell'Agricoltura Ministero in attesa di giudizio «Eliminarlo? Una follia tutta italiana» ROMA. Ministero sì, ministero no? Si potrebbe dire che le scommesse sono aperte, ma la cosa è troppo seria per scherzarci su, tanto più che il via libera dei giudici costituzionali al referendum per l'abolizione del ministero dell'Agricoltura cade in un periodo particolarmente fitto di scadenze internazionali, dalle trattative Gatt ai vari accordi di settore che sono sul tappeto a Bruxelles. Ma, in attesa di andare alle urne, che schieramenti si vanno delineando? Che pensano gli addetti ai lavori? Quali le «dichiarazioni di voto» dei big dell'agroalimentare? Dal giro di interviste che abbiamo fatto sul tema è emerso un parere praticamente univoco: il ministero dell'Agricoltura deve restare. Vediamo perché. Che Gianni Fontana, titolare del dicastero «verde», volti verso l'alto il pollice a chiedere la sopravvivenza del ministero può essere ovvio, ma le motivazioni che adduce non sono dì bandiera: «L'agricoltura italiana - dice Fontana - è la quarta nel mondo e la seconda in Europa; la sua vita ed il suo sviluppo si svolgono, da tempo, in un contesto non solo comunitario, ma mondiale, che richiede, sul piano interno, un centro unitario di indirizzo, programmazione e coordinamento». Il disco verde al referendum va comunque letto come un ulteriore stimolo ad accelerare i cambiamenti e Fontana annuncia che, entro la prima settimana di feb- braio, presenterà al governo la legge di riforma del ministero. Ad attendere con interesse il piano per questo «restyling» sono in molti. «Se il ministero dell'Agricoltura rimane un carrozzone burocratico, paralizzato da lottizzazioni e logiche spartitorie, è destinato a finire - commenta Sante Ricci, presidente del Copagri -, se invece ci sarà un rinnovamento radicale delle competenze e del funzionamento il ministero, magari con un nuovo nome, potrà svolgere ancora un ruolo importante per i produttori agricoli». E che il ministero debba cambiare lo dicono all'unisono i tre leader delle maggiori organizzazioni agricole nazionali. «Abbia- mo da tempo evidenziato l'esigenza di un unico centro di gestione della politica agroalimentare - fa notare il presidente della Coldiretti, Arcangelo Lobianco -; a quest'esigenza consegue la necessità che le competenze dell'attuale ministero dell'Agricoltura vengano allargate, trasformandolo in un vero e proprio ministero dell'agroalimentare e dell'alimentazione». E Giuseppe Gioia, presidente della Confagricoltura, aggiunge: «Così com'è strutturato il ministero non è idoneo a svolgere compiti di ordinaria amministrazione e meno che mai ad adempiere alle nuove incombenze comunitarie, quindi deve essere assolutamente riformato. Questo però non vuol dire che se ne possa fare a meno». Dalla sede di via Fortuny, Giuseppe Avolio, presidente della Confederazione italiana agricoltori, ribadisce il concetto: «Penso che il ministero debba continuare ad esistere, ma con funzioni esclusivamente di indirizzo, coordinamento e controllo della politica agraria nazionale. La competenza primaria di questa politica deve andare alle Regioni, come prevede la Costituzione». Uno dei settori agricoli più pesantemente colpiti dalla riforma della politica Cee e dal calo dei consumi è quello dell'allevamento, ma anche l'Associazione italiana allevatori spezza la sua lancia in favore del ministero: «Il governo dell'economia deve cambiare dice il presidente dell'associazione, Palmiro Villa - e anche l'agricoltura deve sapersi adeguare. Tuttavia l'esperienza statunitènse e tedesca, le cui Costituzioni assegnano maggiori autonomie e compiti primari agli Stati e ai Lànder di quanto non preveda quella italiana per le Regioni, insegna che il settore primario non può essere privato di una sua rappresentanza nazionale». E come si schiera uno dei perni del mondo agricolo: le coop? «Al di là dell'impegno dei ministri che si sono succeduti negli ultimi anni è stato sempre più difficile, per il ministero dell'Agricoltura, esprimere indirizzi veramente efficaci - fa notare Luigi Marino, presidente della Confcooperative -: serve un ministero agile e adeguato alle mutate condizioni del settore agroalimentare, senza attendere che un esito positivo del referendum lo travolga». E in casa della Lega Coop il presidente dell'Anca, Filippo Mariano, commenta: «Sono contrario all'abolizione del ministero. Alle Regioni può essere delegata la gestione tecnica delle cose, ma ci deve essere un organismo unitario, anche a livello di rappresentanza internazionale». Pollici in alto anche sul fronte vinicolo. Il presidente dell'Unione italiana vini, Gianni Zonin, considera l'idea dell'abolizione «una follia tutta italiana». «Cosa voghamo fare - chiede Zonin ai fau¬ tori dell'abolizione -: mandare a Bruxelles ventun assessori per discutere la politica agricola internazionale? Se è una scelta politica facciano pure, ma, personalmente, la ritengo pazzia pura». Il presidente della Federvini, Vittorio Vallarmo Gancia, è più pacato, ma la sostanza non cambia: «E'assurdo abolire il ministero proprio in tempi in cui ogni cosa che riguarda l'agricoltura va patteggiata a Bruxelles - dice Gancia -; mi sta bene che alcuni poteri passino alle Regioni, ma il coordinamento bisogna lasciarlo al ministero, altrimenti c'è il rischio di diventare una muta di cani sciolti». Vanni Cornerò - 1 ^Él Qui a destra Gianni Zonin con a fianco Palmiro Villa - 1 A sinistra il ministro ^Él Gianni Fontana nella foto sotto Giuseppe Avolio

Luoghi citati: Bruxelles, Europa, Roma