La Malesia dà l'addio a Salgari di Domenico Quirico

10 Eliminati dalla Camera di Kuala Lumpur i privilegi dei sultani: erano indegni La Malesia dà l'addio a Sala Re-tifoso aveva ucciso a bastonate un trainer di hockey Poi si era auto-assolto. Legge cambiata a furor di popolo E' l'ultimo, malinconico capitolo dei romanzi di Salgari, L non lo ha scritto il machiavellico raja bianco, James Brooke. E' stato sufficiente un banale, borghesissimo voto di 184 notabili per spedire tra le anticaglie uno degli ultimi miti d'Asia, il potere assoluto dei sultani malesi. Ma questa volta per salvarli ci voleva ben altro che i tigrotti di Mompracem. Sono davvero tempi brutti per le monarchie, anche tra le foreste dei dayaki. Le piccoli tigri dell'Asia del business si sono abituate a pensare con la logica dei consigli di amministrazione, e in bilancio non c'è posto per polverosi privilegi ed esotiche tradizioni. Anche se hanno resistito all'ascesa e alla caduta di almeno tre imperi. La Camera della Malaysia ha riportato i nove sultani che governano altrettanti Stati della federazione dal mondo degli dei al rango di comuni mortali. Questo significa che anche per loro funzionare, come per tutti i cittadini, il codice penale; finora godevano di una posizione di assoluta immunità e potevano sottrarre, con la magnanimità di un regale perdono, anche i familiari alle «persecuzioni» della umana giustizia. La colpa di aver fatto calare la ghigliottina sulle ultime monarchie assolute del pianeta è tutta da attribuire a un boia davvero imprevedibile, l'hockey. Il sultano di Johore, Mahmood Iskandar, è un esempio unico di ultra con la corona; e come tutti i presidentissimi del mondo ha la tendenza a considerare un affare di famiglia anche la formazione della squadra e la scelta dei giocatori. «titolare» e soprattutto comune mortale, doveva essere sicuramente un tipo coraggioso. Solo un temperamente eroico, infatti, poteva accettare questa scomoda panchina sapendo che i nomi dei suoi predecessori erano iscritti nelle pagine della cronaca nera oltre che in quelle sportive. Perché il dispotico sultano e i suoi figli, autentico club del tifo con legale licenza di uccidere, negli ultimi anni hanno picchiato e spedito all'ospedale ventidue componenti dello staff tecnico della squadra. Con un coraggio da kamikaze Gomez ha deciso di non ascoltare i «consigli tecnici» del sultano-padrone; così è stato massacrato a bastonate, personalmente, dall'«Ombra di Dio» sulla terra, «Ornamento del consesso dei fedeli», misto di ingenuità e di ferocia come il suo avo Sandokan (e senza avere accanto uno Yanez che ne mitigasse il furore con la prudenza). Naturalmente il sultano ha subito invocato il privilegio dinastico; ma questa volta è stato troppo anche per i .sudditi più fedeli e disposti a chiudere un occhio. Anche perché a Kuala Lumpur, da tempo, tesse le sue trame un Robespierre deciso a cancellare ogni sopravvivenza «feudale». Mohamad Mahathir l'aveva giurata ai sultani da almeno tre anni, dalle legislative del '90, quando l'opposizione del signore del Kelantan rischiò di fargli perdere le elezioni e il posto di premier. Non è che Mahathir, un tipico prodotto delle democrazie molto autoritarie dell'Asia, si sia convertito al repubblicanesimo. Il problema è che nove sovrani assoluti, tredici Stati federali, un re costituzionale scelto a rotazione, un primo ministro, quattro governatori sono veramente troppi anche per un Paese-arcipelago che sopravvive allegramente a quattro alfabeti, una decina di religioni (non proprio in rap¬ porti idilliaci) e altrettati idiomi. La colpa dei sultani non è tanto di vivere in palazzi di sogno, a cui il ventesimo secolo ha aggiunto qualche comodità in più, come la piscina e la Ferrari. Il guaio è che i sultani con un piede nei libri di Salgari hanno astutamente piazzato l'altro nelle «miserie» terrene del capitalismo. Investendo rendite e appannaggi in operosissime compagnie per lo sfruttamento dei legnami pregiati o per le costruzioni. Una conconcorrenza pericolosa in una Paese dove la lotta per dirigere il miracolo economico è selvaggia e divide, sempre al limite della guerra civile, le due principali etnie: i cinesi, intraprendenti e operosi discendenti dei miserabili coolies giunti in Malesia per sfuggire la fame, diventati signori del denaro; e i bhumiputra, i figli del sole, malesi che controllano lo Stato ma sono ricchi solo di orgoglio e di tradizioni. Mahathir ha usato contro i sultani tutte le armi di una moderna guerra di propaganda. Scatenando, ad esempio, efficaci campagne di stampa contro le importazioni di Lamborghini e Ferrari, naturalmente esentasse, di un sultano appassionato collezionista di bolidi di lusso. • Così i nove re, trascinati in Parlamento per una simbolica decapitazione, non hanno trovato molti paladini. Anche quando il governo, a poche ore dal voto, ha sequestrato i passaporti diplomatici a tutti i loro figli ed eredi. Adesso i neo re-borghesi gridano che si rivolgeranno alla Corte di giustizia dell'Aia, per difendere, a colpi di carta bollata, il diritto alle immunità. Malinconica fine per gli eredi di quei «Daiacchi» che i cui titoli di nobiltà si contavano in base al numero di teste di nemici ereditate dagli avi. Domenico Quirico La petroliera ancora in fiamme al largo di Sumatra [FOTOAP]

Persone citate: Gomez, James Brooke, Mahathir, Mohamad Mahathir, Salgari

Luoghi citati: Asia, Kuala Lumpur, Malesia