«Qui i conti non tornano» di S. Lue

«Qui i conti non tornano» «Qui i conti non tornano» Parla Magliola, l'ex gestore Ecco chi ha distrutto l'azienda ROMA. «Nel libro verde del Tesoro c'era scritto che l'Uva avrebbe perso 350 miliardi nel '92, o al massimo 600 se non fossero state fatte determinate operazioni finanziarie. Queste operazioni sono state fatte eppure la perdita è stata di 1749 miliardi al 30 novembre. Mi pare un dato a dir poco sconcertante». Sergio Magliola, l'ex amministratore delegato della Finsider «dimissionato» dall'Ili di Romano Prodi nell'87, ha la memoria lunga e molti sassolini nelle scarpe. Da quando lasciò il gruppo pubblico, si è disegnato un ruolo di «Cassandra» dell'acciaio di Stato. Facile, all'inizio, rubricare il suo atteggiamento nella categoria rancore per chi l'aveva cacciato e nel desiderio di vendetta. Oggi, alla luce dell'insanabile crisi dell'Uva, le sue critiche implacabili appaiono in un'ottica nettamente diversa. Ingegner Magliola, il libro verde è di novembre. Com'è stato possibile un simile errore dì previsione? «All'Iri fanno capire che è stata l'Uva ad informarli male. Secondo me non è del tutto vero. Gli ispettori dell'istituto, nei quali ho sempre avuto la massima fiducia, fanno regolari visite anche all'Ilva». Oggi l'acciaio di Stato è più o meno malato di quando l'ha lasciato lei? «Le cifre parlano da sole. Nell'83 la Finsider perdeva 2100 miliardi. Nell'86, nonostante un impressionante crollo dei prezzi, ne perse 960. Nel '92 ne ha persi 1749 in undici mesi, ma a fronte di 8500 miliardi di fatturato industriale. A quota 10 mila arrivano sommando l'attività di trading. Nell'86 avevamo il 59% del mercato in¬ terno, oggi abbiamo il 42%. E nel frattempo il consumo nazionale è aumentato di 6 milioni di tonnellate, a tutto vantaggio dei produttori stranieri». Una débàcle. Ma come la spiega? «Il 17 dicembre dell'86, in sede di comitato Ili, Prodi disse: bisogna smettere di perdere quote di mercato nell'acciaio. S'è visto com'è finita. Oggi Tedeschi ricorda che un chilo di acciaio costa meno di un chilo di pane. Ma questa è una banalità: è sempre stato così. La verità è che è stata distrutta un'azienda col criterio di premiare la finanza ed emarginare la gestione industriale». Dunque le colpe a suo avviso sono di Prodi? «Anche. Per lui avevo ed ho molta stima. Ma pure lui ha commesso degli sbagli. Ha creduto che la crisi dell'acciaio fosse eterna, ed ha cercato i manager in quest'ottica. Ovvio che nessun volesse gestire l'acciaio pubblico. Non a caso Gambardella c'è andato con uno stipendio triplo rispetto a quello che prendevo io. E così sugli attuali 150 top-manager dell'Uva soltanto un decimo faceva già quel mestiere, in quello stesso settore, qualche anno fa». Colpa dei manager, dunque... «Inevitabilmente sì. Ma l'Ili, anche quello di Prodi, dov'era, mentre loro sbagliavano?». Ingegnere, confessi: lei è soddisfatto. «Sono triste. Ci avevamo lavorato sodo, a lungo, in tanti. Credevamo nell'azienda. E ancora ci credo. Se l'Usinor Sacilor, il gruppo siderurgico pubblico francese, mettesse le mani sull'Uva, dominerebbe il mercato». [s. lue]

Persone citate: Gambardella, Ingegnere, Magliola, Prodi, Romano Prodi, Sergio Magliola

Luoghi citati: Roma