Ama altri dei come te stesso di Ferdinando Camon

Il monoteismo, risposta a Kùng Il monoteismo, risposta a Kùng Ama altri dei come te stesso Il teologo HansESCE oggi Ebraismo di Hans Kùng (Rizzoli). Il grande teologo che i cattolici sentono come protestante, e i protestanti come cattolico, ha anticipato su questo giornale, il 20 gennaio, le sue ragioni. Ascoltando, si ha l'impressione che il pensiero cattolico urti contro un limite, lo urti ma non lo superi. Lo stesso limite contro cui urtava il papa quando teneva quel discorso dalla Casa degli Schiavi, in Africa, da cui partivano i negri catturati dai bianchi e trasportati a lavorare e a morire nelle piantagioni del Nuovo Mondo, a creare una ricchezza alla quale l'Occidente deve ancor oggi in buona parte l'impianto della sua potenza e della sua supremazia. Il papa parlava di una colpa dei cristiani, di una incapacità di sentire gli altri come non-diversi. Come si sa, i bianchi cristiani si rivolgevano ai negri per avere lavoro servile, perché gli indigeni d'America si erano rivelati poco resistenti. Ma il rapporto con gli indigeni non era stato diverso: di fronte al nuovo uomo appena scoperto, la prima reazione del bianco cristiano era quella di sfruttarlo. Cioè, un'affermazione di superiorità. Una superiorità totale, e quindi anche e in primo luogo religiosa. Una superiorità che non è da superiore a inferiore, ma da totalità a nullità: tutta la verità e la conoscenza da una parte, dall'altra solo errore e perdizione. Da qui deriva la scarsa o nessuna attenzione del cristiano per le altre religioni: non-conoscerle non è prova di ignoranza, è anzi prova di verità, di possedere la verità. Il giornalista che intervistava Kùng gli poneva la domanda che batte da mezzo secolo alla porta del Cattolicesimo, e prima o poi il Cattolicesimo dovrà pur aprirla: è possibile entrare in un vero ùng dialogo con gli altri, rimanendo nella convinzione che la propria prospettiva ha un valore universale, è l'unica valida per tutti? Kùng risponde sorprendentemente di sì, perché egli ha la «pretesa» della universalità, ma la «disposizione» al dialogo. In realtà è soltanto una differenza per così dire tecnica. E' scaduto solo il concetto di «missione» in senso colonialista e imperialista, «missione» come «termine con il quale si è imposta per secoli alle altre nazioni e culture l'esigenza universalistica del cristianesimo». Ora non si tratta di «convertire» ma di «testimoniare». Ma qual è l'oggetto della testimonianza, se non ancora la stessa universalità, e quindi la stessa superiorità? Quando Kùng conclude che «non ci sarà pace fra le nazioni senza pace tra le religioni», dice una verità e indica un pericolo, in tempo di dilagante islamismo. Ma questa pace richiede ben altra prospettiva, che forse oggi è soltanto intuibile: perché ci sia pace tra le religioni occorre che nessuna si presenti come universalità chiusa, con funzione radicalmente esclusiva di ogni altra, sulla base del «nulla salus extra»: su quella base l'unico rapporto con gli altri sarà sempre la loro assimilazione se non l'eliminazione. Quel che entra in crisi pur se non viene mai nominato, è il nucleo duro delle grandi religioni: il monoteismo. Il mondo diventa sempre più omogeneo dal punto di vista economico, scolastico, comunicativo, dice Kùng. Ma non religioso. E' qui che bisogna lavorare. Detto altrimenti: anche gli dèi devono imparare a convivere. Oppure anche gli dèi monoteisti, fatti per escludersi, devono imparare a convivere. Ferdinando Camon Il teologo Hans Kùng

Persone citate: Hans Kùng

Luoghi citati: Africa, America