Faccia a faccia col killer di Lennon

il caso. Parla il biografo: la mia vita con l'uomo che sparò alla rockstar il caso. Parla il biografo: la mia vita con l'uomo che sparò alla rockstar Faccia a faccia col killer di Lennon «Mifissava con occhi terribili e poi cadeva inginocchio» ELONDRA E sfuriate di Mark David Chapman, l'assassino di John Lennon, fanno gelare il sangue. «Come quella volta che ha sbattuto violentemente il manoscritto del mio libro sul tavolo della cella, mandando all'aria tutti i fogli. Era furibondo per ciò che avevo rivelato sulla sua infanzia e, in particolare, su sua madre», mi dice Jack Jones, 47 anni, il giornalista americano che ha appena pubblicato un'indagine sull'uomo che 1*8 dicembre 1980 uccise l'ex Beatle con cinque colpi di pistola. «E' una dissezione psicologica dell'omicida - precisa l'autore, che in questi giorni fa la spola tra Londra e Liverpool, ospite della Virgin Publishing, per presentare l'edizione britannica del libro -. Anch'io ero un fan di Lennon; anch'io, come tanti, volevo capire il perché di questa tragedia». Let me take you down (macabro doppiosenso: è il ritornello di Strawberry Fields Forever, ma significa anche: «Lascia che io ti abbatta») è la storia completa del delitto lungo i percorsi patologici maturati nella mente dello squilibrato Chapman. Non si limita a ricostruire l'evento, ma fruga a fondo nella memoria e nell'inconscio dell'assassino, che distrusse la vita di Lennon per procurarsi un'identità. Non teme che il suo libro corrobori il narcisismo patologico di quest'uomo? «Non ho scritto una biografia: ho inteso fare un ritratto completo di questa creatura rara e pericolosa, per evitare che casi analoghi si ripetano». E Yoko Ono come l'ha presa? «E' stata gentilissima. Personalmente, non vuole sentire neppure nominare Chapman: tutto ciò che lo riguarda le fa orrore. Ma mi ha messo in contatto con il suo agente, ElHott. Mintz, uno degli amici più intimi di John, che mi ha fornito molte notizie sulla grande rockstar». Jack Jones racconta il suo primo incontro con l'assassino di Lennon. Si era aggregato a un gruppo di volontari che andavano a visitare i detenuti nella prigione di Attica, dove Chapman sta scontando l'ergastolo. Era il 1986. «Ho dovuto frequentarlo per quattro anni, prima che cominciasse veramente a vuotare il sacco», mi dice. Nel 1990, alla vigilia del decimo anniversario dell'omicidio, la cortina di diffidenza cadde. «Dapprima cercò di usarmi. Psichiatri e preghiere Si sentì disarmato quando seppe che avevo accesso alla sua cartella psichiatrica completa. Durante i nostri colloqui parlava per ore e ore, prima di arrivare al punto. Spesso si interrompeva, per mettersi a prega¬ re. Credo che la preghiera sia il suo mezzo per recuperare il controllo di sé». Non ha mai avuto paura di lui? «Dei suoi occhi. Sono molto profondi e tristi, ma ogni tanto diventano terribili. Dietro quegli occhi si muove talvolta qualcosa di palpabilmente malvagio. L'ho visto anche violento, in preda a quella che lui definisce "rabbia nucleare". In quei momenti ho avuto la sensazione di una presenza maligna, quasi come se il diavolo fosse entrato in quella cella». Quando lesse il capitolo sulla sua infanzia tormentata, Chapman scatenò il finimondo. Non voleva assolutamente far sapere al mondo che sua madre si rifugiava nel suo letto, se il marito la picchiava. Quell'invocare Satana per aiutarlo ad assassinare Lennon è stato interpretato come il sin¬ tomo di una dissociazione schizofrenica. Ma Jones sostiene che il quadro clinico di Chapman è molto più complicato. «Io mi sono fatto la convinzione che quest'uomo ha orientato consapevolmente la propria malattia per conseguire il suo proposito omicida - dice l'autore -. E' sempre stato estremamente controllato. Ho intervistato altri assassini, tra cui David Berkovitz, il mostro di New York, 13 omicidi: nessuno è mai riuscito a parlarmi con freddezza dei propri delitti. Balli notturni dentro una cella Chapman invece sì: è un individuo sociopatico, ma non è completamente pazzo. Per questo merita la sua punizione». Di sicuro è ancora molto malato: certe notti le guardie stanno ad osservarlo, allibite, mentre «con un cappuccio in testa ascolta musica rock e si dondola avanti e indietro». Dal finale del libro, parrebbe che l'omicida si sia pentito. «A livello conscio, si assume la responsabilità di ciò che ha commesso. Ma la sua emotività ha raggiunto il suo scopo: ha trovato un'identità, ma quale identità! E' uno degli uomini più odiati del mondo». Due confidenze: «Mi chiese se potevo inserire una sua lettera di scuse al mondo, ma io non mi sono prestato a questo gioco. Un'altra volta mi confidò che Robert Bardo, l'assassino dell'attrice Rebecca Schaeffer, gli scrisse prima dell'omicidio per chiedergli che cosa si provava ad assassinare una celebrità. Chapman, terrorizzato, distrusse la lettera. Non voleva finire testimone a quel processo». Difficilissima, tediosa e affascinante: così Jack Jones riassume la sua esperienza. E anche rabbiosa: «Mi creda, tante volte, mentre Chapman rievocava l'assassinio di John, ho avuto la tentazione di saltargli addosso e riempirlo di botte». Maria Chiara Bonazzi Quando vide nel manoscritto la storia della sua infanzia e quella di sua madre sparpagliò tutti i fogli nella prigione Qualcuno gli scrisse: «Vorrei sapere che cosa si prova a uccidere un divo» Mark David Chapman, l'assassino di John Lennon. Racconta il suo biografo: «Quante volte avrei voluto riempirlo di botte» Accanto: John Lennon. Sotto: i primi soccorsi al musicista dopo l'attentato

Luoghi citati: Liverpool, Londra, New York