Al turista non far sapere se la natura è da vedere

polemica. Una guida sui paradisi nascosti divide gli ambientalisti polemica. Una guida sui paradisi nascosti divide gli ambientalisti Al turista non far sapere se la natura è da vedere IGLIAIA di persone stanche, iper-civilizzate, stanno scoprendo che andare in montagna è andare a casa, che la natura selvaggia è necessaria. E che i parchi e le riserve non sono solo sorgenti di legname e di acqua per irrigare, ma sorgenti di vita». Parole profetiche, scritte un secolo fa dal «padre» dei grandi parchi americani, John Muir. D'accordo: anche un altro maitre àpenser dell'ecologia, Henry David Thoreau, era convinto che «la sopravvivenza del mondo sta nella natura selvaggia». Ma di fronte al libro del giornalista Stefano Ardito {Wilderness. Guida alle aree selvagge d'Italia, Zanichelli), molti ambientalisti hanno avuto un tuffo al cuore. E' facile pensare alle folle di Cortina o Saint-Tropez in marcia verso foreste vergini e spiagge incontaminate. E' giusto pubblicare una mappa dei luoghi più «selvaggi» del nostro Paese? Ardito ammette che alcuni suoi carissimi amici lo ritengono «poco meno di un crimine». «E in parte hanno ragione - spiega nell'introduzione del volume -. Molte volte guide e riviste hanno portato fotografi, arrampicatori e fondisti a pochi passi da nidi di falco e tane d'orso, con effetti devastanti. Da almeno un secolo, e non solo in Italia, sono stati gli alpinisti a indicare involontariamente alla speculazione le alte conche dove insediare i luna-park dello sci. I più romantici tra gli appassionati del mare, a indicare alle immobiliari le calette e le spiagge da trasformare in villaggi turistici». «Ma io ho la coscienza a posto - aggiunge Ardito -. Ho adottato un approccio soft, non descrivo itinerari in aree a rischio, non invito a entrare negli angoli più delicati». Molti ambientalisti, però, non lo assolvono. La nuova ecologia di gennaio, che con Fulvia Fazio ha lanciato l'allarme, non nasconde l'imbarazzo: «Da un lato incitiamo i lettori a uscire dalla città, dall'altro registriamo co- stantemente le devastazioni prodotte da orde di cittadini in libertà». Il dibattito è attualissimo, perché nei prossimi mesi si dovrà decidere come organizzare molti dei nuovi parchi: da un lato l'esigenza di difenderli, dall'altro quella di farli «vivere», aprendoli alla gente. I domenicali e la fauna Stefano Allavena, dirigente del Corpo forestale al ministero dell'Agricoltura, non transige: «Non si possono dare in pasto al grande pubblico le poche e fragili aree di wilderness italiane. La sete di natura è tanta, ma la guida di Ardito può favorire i danni all'ambiente più ricorrenti: gente che si infila negli anfratti più remoti, comitive vocianti che disturbano la fauna, sentieri che a furia di essere percorsi diventano canali». Allavena, fondatore del Comitato italiano per la protezione dei rapaci, ha ispirato una proposta di legge che ha creato non poche polemiche con i «climbers»: voleva vietare nel Lazio ogni «arrampicata» dal 1° gennaio al 30 giugno, per salvare i nidi di aquile e falchi. La legge è stata bloccata. Sul libro solleva molte riserve anche Carlo Alberto Pinelli, scalatore esperto, membro del Club Alpino italiano e fondatore dell'associazione «Mountain Wilderness». «E' un lavoro - dice che parte da un presupposto molto pericoloso e corre sulla lama di un rasoio: Ardito pensa che solo facendo conoscere il patrimonio ambientale si riesca a destare nella gente il desiderio di difenderlo. Ma il grande rischio è di aprire la strada a una frequentazione eccessiva, che ha effetti dannosi anche se la folla è educata: un esercito che cammina in punta di piedi provoca ugualmente un grande sconquasso. Noi di Mountain Wilderness proponiamo di non descrivere affatto alcune aree, di lasciare sulla cartina delle "macchie bianche". Per non togliere il gusto dell'ignoto». Molti speleologi, quando trovano nuove grotte, ne parlano solo con pochi intimi. Tullio Bernabei, giornalista e membro del¬ la «Società Speleologica Italiana», gira il mondo da anni con scienziati e ricercatori. Di aree incontaminate se ne intende: recentemente ha pubblicato Grotte e storie dell'Asia Centrale (Centro editoriale veneto). Arrembaggio di massa «Conosco alcune zone nel mondo che non rivelerò a nessuno. Non direi dove sono anche se dovessi guadagnarci; che so, perché qualcuno ci può girare un film. Quando troviamo una grotta in cui si può entrare facilmente cerchiamo, d'accordo con il Comune, di chiuderla con cancelli, per evitare che arrivino turisti o cercatori di minerali, gente che provoca danni, ad esempio rompe le stalattiti. Le grotte difficilmente accessibili, invece, si difendono da sole. Per il libro di Stefano Ardito è un po' diverso: da noi è difficile che certi posti rimangano segreti. Prima che arrivino altri, tanto vale cercare di favorire un turismo a bassissimo impatto ambientale. La cono- scenza è strumento di tutela». Gianni Squitieri, direttore generale di Greenpeace Italia, giudica 1'«autocensura» una scelta estrema: «Dobbiamo assolutamente tutelare gli ecosistemi a rischio, quelli dove si possono compromettere la riproduzione di specie animali o vegetali. Se invece si tratta "solo" di zone intatte l'importante è evitare' l'arrembaggio delle masse. Per goderci la natura qualche sfida dobbiamo accettarla: se creiamo santuari inaccessibili e chiudiamo in un sarcofago la natura, ci aspetta una vita proprio brutta». Anche Fulco Pratesi giustifica il «censimento»: «La gente che vuole davvero distruggere quei luoghi li conosce meglio di noi ha detto a Lo nuova ecologia -. Gli altri sono persone alla ricerca della natura, che vanno semplicemente guidate». Sfogliando le pagine del libro, comunque, si ha l'impressione che in Italia i luoghi davvero «selvaggi» siano rari. Ma anche in un Paese dove si fa la coda per salire sul Monte Bianco, un contatto autentico con la natura è possibile. Basta non considerarla solo una palestra in cui sfrecciare con deltaplani, parapendii, mountain bike, canoe. E capire che godersi un tramonto dopo una lunga marcia è tutt'altra cosa che vederlo stando seduti su una funivia. All'estero i «viaggiatori avventurosi» hanno qualche chance in più per sognare Livingstone e Amundsen. Ma non certo partecipando al Carnei Trophy o alla Parigi-Dakar: Reinhold Messner, teorico della natura selvaggia, ripete da tempo che «non ha più senso oggi la conquista dell'inutile. Solo se rinunciamo ad ogni forma di conquista, per conservare ciò che è solo apparentemente inutile, ci rimane una chiave per capire chi siamo e dove andiamo». Sono le stesse domande che si ponevano Muir sulla Serra Nevada e Thoreau sulle rive del lago Walden. Cario Grande «Svelare la mappa delle aree selvagge d'Italia è criminale: addio nidi di falco» Un'illustrazione di Milton Glaser per «Graphic posters». A volte anche i più romantici tra gli appassionati del mare hanno contribuito alla scoperta di calette e spiagge poi trasformate in villaggi turistici