La madre di tutti i pericoli di Igor Man

La madre di tutti i pericoli La madre di tutti i pericoli Riflessi condizionati nei cieli del Golfo LA GUERRA IN un angolo del cuore della cinica Europa e dell'antica Italia (patria di Francesco ma altresì di Machiavelli), deve senz'altro albergare un briciolo di ingenuità. La notizia dell'aereo americano che ha «accecato» un radar iracheno, rompendo così la tregua (unilateralmente dichiarata da Saddam, tacitamente accettata dallo Zio Sam), ha provocato sconcerto, meraviglia, delusione. Ma come?, si interrogano i lettori che intasano i centralini dei giornali, della tv, la guerra continua? In realtà la guerra non è mai finita, potremmo rispondere citando l'orbo veggente del Cairo. Non è finita poiché quella di Bush fu una vittoria senza trionfo: Saddam è sempre al suo posto, l'Iraq è stato battuto ma non occupato, e ancorché sconfitto mantiene in piedi un esercito di tutto rispetto. Codesta situazione, paradossalmente inedita giacché non trova riscontro nei «precedenti» degli stati maggiori, potremmo definirla la grande madre di tutti i pericoli. E' molto probabile -• come gli stessi militari americani dicono - che quel radar iracheno ha «illuminato» il Mirage francese per una sorta di automatismo dei serventi, ovvero perché quei soldati non erano stati avvisati in tempo della tregua scattata «in omaggio a Clinton», e quindi in odio a Bush, per volere del dittatore di Baghdad. Aereo «illuminato», aereo minacciato: e infatti il capo pattuglia americano è intervenuto in difesa del suo compagno di missione «accecando» il radar improvvidamente acceso 60 chilometri a Nord di Mossul; meglio: di quel che rimane di Mossul, un tempo città bella e felice. La guerra non è mai finita: è qui, forse, il dramma vero di Bush, del Wasp che uscendo di scena perché bocciato da un libero voto democratico, chiude un ciclo storico non esclusivamente americano nel segno dell'incompiutezza. E tuttavia dopo quanto accaduto ieri parrebbe lecito domandarsi se veramente si è chiuso un ciclo ovvero siamo al concretizzarsi sconfortante del famoso business as usuai. Ma se tutto va, o sembra andare, come prima, in questo caso la grande madre di tutti i pericoli è veramente incinta di chissà quali disgrazie. Con tanti saluti alla primavera di Clinton. Non vorremmo che le ultime sciabolate di un Presidènte sfrattato, d'un grigio americano onesto ossessionato da un nomignolo impietoso (wimp) si rivelassero tanto malefiche da condizionare il giovine Presidente. Sia come sia non sarà facile per lui cambiare la cosiddetta «mentalità autonoma» del Pentagono, dall'oggi al domani. In ogni caso qualcuno dovrebbe preoccuparsi di ricordargli, ha scritto il più autorevole giornale egiziano, che nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza menziona le «zone di esclusione» a Sud del 32° parallelo, a Nord del 36°. Furono istituite dagli americani per salvare sciiti e curdi dallo sterminio, interpretando liberamente la risoluzione 688. Se diventassero riserve di caccia, Clinton rischia di vedersele boc- ciare perché illegali. C'è malumore nel mondo arabo per l'exploit invero inopinato dell'aviazione americana. C'è soprattutto preoccupazione. I libanesi ai quali 16 spaventosi anni di «guerra civile» non han fatto perdere il senso dell'ironia dicono che, finora, l'unico risultato tangibile dell'ultima raffica di Bush è il ritorno sulla scena mediorientale di Mosca. «E poco importa se l'Urss ora si chiami Russia: gli epigoni di Caterina II non hanno mai smesso di sognare i mari caldi», ha detto Radio Beirut. Perfino in Arabia Saudita c'è imbarazzo: senza mai nominare l'Iraq quella stampa scrive che è venuto il momento di «dedicarsi alla politica», facendo rispettare tutte le risoluzioni dell'Onu: «Sia quelle che riguardano il Golfo, sia quelle relative alla Palestina, ai deportati, alla Bosnia». Le prossime giornate ci diranno se Clinton affermando di non essere ossessionato da Saddam abbia, o non, commesso una gaffe. Noi pensiamo che egli volesse semplicemente «spersonalizza¬ re» la crisi del Golfo: se l'Iraq comincerà a rispettare l'Onu, le sue risoluzioni, la situazione potrebbe cambiare. «Ci siamo liberati di tante ipocrisie», ha esclamato il patron dei Rolling Stones. Lo ha detto a commento della grande festa del meltingpot che ha preceduto la giornata del giuramento. «Mi sono sentito felice nel vedere Clinton e Gore muoversi a ritmo di rock. L'impressione è che si è finalmente cominciato a muovere la nazione verso il futuro». Ma il futuro è legato al passato. Forse, ha scritto Time, il compito più diffìcile di Clinton «sarà domare la cultura politica di Washington prima che lo distrugga», così come ha fatto con Carter. E tuttavia Carter ha donato al mondo la pace, sia pure monca, di Camp David. Quando Clinton potrà spingere lo sguardo oltre la Pennsylvania Avenue avrà modo di rendersi conto come da Gerusalemme a Tunisi, dal Cairo a Damasco, a Beirut tutti appaiano pronti a correre i rischi che la pace comporta. Per tutti. Non la pace di Brenno bensì la pace vera. Quella cara agli uomini di buona volontà perché benedetta da Dio. Pace, shalom, salam. Igor Man