De Mita lancia l'allarme «Rischiamo il naufragio»

De Mita lancia l'allarme «Rischiamo il naufragio»4 De Mita lancia l'allarme «Rischiamo il naufragio»4 COSTITUZIONE «ABBIAMO PERSO » OROMA NOREVOLE De Mita, dopo quattro mesi di lavoro, nei corridoi del Parlamento si respira aria da funerale per fa Commissione bicamerale. Lei che la presiede è rassegnato al «de profundis»? «Lo so benissimo: quest'impresa è disperata fe non solo per .quel che si va dicendo nei corridoi), ma è l'unica da tentare se davvero si vogliono cambiare le cose. Ormai ci siamo: o la commissione riesce e le riforme si fanno, oppure si va incontro a un'avventura». Un'avventura? E di che genere? «E' chiaro. La corsa allo sfascio è una macchina pericolosa, che una volta lanciata non si ferma più. Fin dall'inizio alla commissione è stato messo un freno; poi è venuto il momento di quelli che sono entrati a farne parte, ma per star zitti in aula e criticare fuori; e oggi c'è perfino chi punta a nuove elezioni anticipate, una soluzione che servirebbe soltanto a moltiplicare la delegittimazione di tutti. Si salva solamente chi sta sul crinale della contestazione al sistema. Ma è proprio qui che vedo il perìcolo». Perché? «Su quel crinale sono già ben piantati tutti i picchetti per costruire la restaurazione autoritaria». Chi li ha piantati? Faccia i nomi: chi può aver davvero interesse a un'avventura autoritaria in un Paese come l'Italia alle soglie del Duemila? «Sono tutte quelle forze che non sono mai state nel cuore della democrazia, ma piuttosto nel suo sottoscala, là dove si distribuiscono i favorì: e dunque, quando la convenienza si riduce o diventa incerta, sono pronti a far saltare il tavolo». Ma di chi parla? «Basta guardarsi intorno. Io ad esempio sono favorevole alle privatizzazioni come consolidamento della struttura produttiva del nostro Paese. Ma quando vedo che vengono invocate solo come svendita di fine stagione su cui lucrare, allora non ci sto. Qui troppa gente cerca scorciatoie, è interessata più a smobilitare il vecchio sistema che a costruire qualcosa. Ecco perché denuncio chi gioca sullo sfascio. La democrazia può estinguersi per responsabilità delle classi dirigenti». La responsabilità maggiore non è però della classe politica, che da quattro mesi discute nella sua commissione senza trovare un bandolo di intesa? «Senta, se lei pensa ancora che tutto funzioni come in passato e basti un'intesa fra due o tre persone che contano per fare una riforma, si sbaglia. Le dico francamente che in commissione è impossibile patteggiare come una volta: siamo tutti in crisi, tutti i partiti sono indeboliti, nessuno può stringere compromessi con nessuno. Può salvarci soltanto la consapevolezza dello stato di necessità. Sia chiaro, io non m'illudo. Ma o la classe politica riesce a trovare una soluzione, oppure si va al naufragio». E se dovesse fare una previsione? «Francamente, e malinconicamente, dovrei dire naufragio. Ma siccome ho il dovere di tentare, mi impegno come se la riuscita fosse certa. Vedo che quando prevale la paura del disastro, in commissione le posizioni si avvicinano rapidamente e si fanno passi avanti. Mattarella è stato nominato relatore per verificare se si può partire da questa disponibilità per introdurre il sistema uninominale maggioritario salvaguardando da una parte l'esigenza di chi vuol formare una maggioranza per governare e dall'altra quella di garantire il più possibile la rappresentanza delle diverse forze. Se invece si cercano equilibri coi vecchi sistemi si torna in alto mare». Ma lei che fa per turare le falle? «Sono anch'io sballottato da questa tempesta. So bene che fuori dalla mia porta tutti dicono che stiamo affondando: in realtà andiamo avanti, sia pure molto lentamente. In ogni caso, si sa, il capitano è sempre l'ultimo ad abbandonare la nave». Qualcuno è già sceso, in polemica con lei: Fini, Miglio, Segni, Salvi.. «Un momento, non facciamo confusione. C'è chi ha comincia- to la sua campagna elettorale, chi s'è fatto da parte per favorire un estremo tentativo di accordo, e chi se n'è andato tanto per far rumore». Sta parlando di Segni? «Oggi lo volevano censurare in commissione, ma non sono stato d'accordo. A che serve? Fin dall'inizio Segni è entrato nella commissione per contestarla. Parla solo fuori. Si legga i verbali, non è che abbondino di sue proposte suggestive». Sia sincero, presidente, i vostri problemi non nascono anche dal fatto che la vecchia classe politica non ce la fa a riformare se stessa? «E' una questione maledetta e, aggiungo, mal posta. Sa dirmi qual è il sistema che è cambiato senza mantenere un filo di continuità? E in Italia vogliamo negare che persino il fascismo ha lasciato strascichi per decenni nella Repubblica? D'altra parte, se al posto di una classe politica delegittimata ne potessimo scegliere un'altra pienamente legit¬ timata, allora non avremmo dubbi. Ma non è così. Dunque perché negare a priori che con una vera riforma, un vero segno di novità, si può recuperare, tutta o in parte, la credibilità perduta?». Sta dicendo che tutti possono traghettare nel <aiuovo», purché purificati dalla Grande Riforma? «No, dico un'altra cosa: è ora di uscire allo scoperto e distinguere, perché nel "vecchio" non tutti abbiamo le stesse responsabilità. Ci sarà pure una differenza fra chi si è battuto, e non da oggi, per le riforme istituzionali, e chi invece ha pensato che le istituzioni sono un orpello inutile, e la politica, solo la politica, avrebbe aggiustato tutto». E lei, che ha gestito responsabilità politiche di primo piano, in che campo si colloca? «Senta, non voglio rivendicare nulla, anche se tutti sanno che in materia di riforme ho qualche anzianità. Non mi hanno mai ascoltato, questo è vero. Anche perché la cultura politica prevalente era un'altra: Moro e Berlinguer non erano molto interessati alle regole». Quindi lei pensa di non aver nulla da rimproverarsi? «Devo ammettere una cosa: io non ce l'ho fatta. Non sono riuscito a realizzare quel che volevo. Per questo, oggi, mi sento colpevole: con l'amarezza di scoprire che tutti ora dicono quel che io dicevo più di venti anni fa. Perché la verità è questa: la Costituzione doveva essere cambiata già negli Anni Settanta, quando la politica finì per consumare tutti i suoi spazi di sopravvivenza dentro le vecchie regole». E perché invece nulla è cambiato neppure in quest'ultimo decennio, quando la Grande Riforma è diventata la parola d'ordine di tutti? «Gliel'ho detto: ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti. Il sistema politico ha lasciato prevalere il suo istinto di conservazione, e la classe politica ha preferito consumare quel che restava. Pagando, pur di non cambiare, un prezzo sempre più alto». Fino alle tangenti? «Esattamente. Non c'è un nesso diretto di necessità, naturalmente. Ma a un certo punto il sistema politico si è trovato a ingoiare risorse solo per sopravvivere, tra campagne elettorali, correnti e clientele. Una spirale perversa, che alla fine non poteva che avvitarsi su se stessa». Sembra quasi che lei dia ragione al suo vecchio nemico Craxi, quando dice che tutti sono colpevoli perché il sistema funzionava così. Ma allora Craxi fa bene a rimanere al suo posto? «Non mi ha chiesto consigli, dunque non mi sento di dargliene. Io so che al suo posto mi difenderei, ma davanti al giudice. L'ultima volta che ho parlato con Craxi, gli ho detto;.solo due persone in Italia potrebbero legittimamente attaccarti oggi: io e Berlinguer, che ti abbiamo criticato quando eri all'apice del potere. Ma Berlinguer è morto, e io non lo farò». Insomma, secondo lei Craxi deve dimettersi oppure no? «Credo si sia già dimesso. Nel psi stanno solo trattando il dopo». E lei che ò stato l'anti-Craxi, come si sente oggi che sta perdendo il nemico? «Intanto non mi riconosco nelrimmagime di questo duello rusticano, come è stato raccontato per anni. Io e Craxi eravamo divisi dalla politica, con due concezioni diverse delle istituzioni e del sistema. Per il resto, credo che lui sia stato battuto, prima ancora che dagli avvisi dei giudici, dalla vittoria della Lega in Lombardia, il vero tempio del craxismo». Dunque è Bossi che ha sconfitto Craxi? «No, Bossi è il beneficiario, non so quanto consapevole, della sconfitta di Craxi. E questo fin dalle elezioni del 1990. E da lì è cominciato tutto. Io non ho mai creduto aH'"onda lunga" del psi. Avevo fatto due conti ricavandone la sicurezza che a quel ritmo ci avrebbe messo un secolo a soppiantare la de. Ma nel mio partito molti erano rassegnati, pronti a negoziare sopravvivenza e ritirata. Craxi e ì suoi sembravano l'Armata invincibile dell'Asse. Bossi li ha impantanati nel deserto lombardo, e la sabbia della Lega ha neutralizzato di colpo la potenza di quegli ordigni socialisti che sembravano micidiali. Qualcuno ha pensato che tutto ciò fosse un foruncolo: invece si doveva capire che a quell'infezione il craxismo non sarebbe sopravvissuto». Così una stagione s'è chiusa. Ma a quella stagione non appartiene anche lei? «Io non ho mai creduto di essere eterno. Oggi faccio la mia parte: al resto non penso. So che nel "nuovo" ci sarà spazio anche per qualche vecchio. Ma sarà un'eccezione. So pure che il «nuovo» non si costruisce tagliando le teste. Fosse così sarebbe semplice. E io non avrei nulla da temere. La mia testa è già caduta». «Io mi sento colpevole Non sono riuscito a realizzare quel che volevo La Riforma subito, o il pericolo è l'avventura» 'allarme aufragio»4 «Io mi sento colNon sono riuscia realizzare quelLa Riforma subitil pericolo è l'avvsono colpevstema funzallora Craxnere al suo«Non mi ha dunque non mne. Io so che afenderei, ma dL'ultima voltcon Craxi, gli persone in Itagittimamente

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