Referendum alle porte della Bicamerale
I partiti litigano, slitta il voto sull'elezione del sindaco. Segni contestato nella sede dei Popolari I partiti litigano, slitta il voto sull'elezione del sindaco. Segni contestato nella sede dei Popolari Referendum die porte della Bicamerale Martinazzoli: dobbiamo farcela ROMA DALLA REDAZIONE ROMANA Un altro {porno perso. La Bicamerale litiga, i referendum incombono. Dopo le dimissioni a sorpresa di Cesare Salvi, pds, da ieri è il democristiano Sergio Mattarella l'uomo adibito alla quadratura del cerchio: ha una settimana di tempo per presentare alla Camera una proposta di legge elettorale che disinneschi ì referendum di Mario Segni. Intanto, l'ultima mossa ad effetto del leader dei «popolari per la riforma» - l'autosospensione dalla Bicamerale - rischia di trasformarsi in un boomerang. Ieri lo hanno criticato proprio i suoi uomini, i «referendari)» della de. All'inaugurazione della nuova sede romana del movimento in via della Vite, Segni aveva provato a galvanizzare le sue truppe: «Stiamo incassando il risultato positivo dello spostamento di tutto il partito su posizioni uninominali e maggiorità- rie». Ma non è bastato a smorzare le critiche di Agrusti, Carèlli e Saretta, deputati divisi fra la fedeltà a Martinazzoli e quella a Segni. «Non bisogna più tenere un piede dentro e uno fuori dalla de. Il segretario rappresenta un cambiamento vero e importante», ha detto Agrusti. Segni ha abbozzato, rinviando ogni decisione al dopo-referendum. Ma Martinazzoli incalza. Prima critica i giornali, rei di raccontare con toni da catastrofe i minuetti della Bicamerale. Poi si rivolge indirettamente a Segni con accenti lirici: «Chi immagina di guadagnare dalla nostra dissipazione sono gli uomini corti, che al tramonto fanno ombre lunghe». Non è molto ottimista sui destini immediati della riforma elettorale: «Realisticamente sarà difficile giungere a un risultato utile, ma dovremmo farcela almeno sull'elezione diretta del sindaco». Su questo fronte, la Camera sta procedendo faticosamente verso il traguardo: ieri sono stati approvati nuovi articoli, ma il voto finale è slittato alla prossima settimana. I tormenti della Bicamerale, invece, non conoscono fine. I partiti sembrano ormai pronti alla corsa per il referendum, anche se nessuno vuole ancora ammetterlo pubblicamente. Dicono i repubblicani: «Sia Occhetto che Martinazzoli sono convinti che il referednum ci sarà. Dunque è meglio attrezzarsi, presentandosi agli elettori con una posizione che giustifichi il sì, per depotenziare il referendum. Segni resterebbe senza l'arma più forte di cui dispone». E i liberali, con il vicesegretario Patuelli, chiedono le immediate dimissioni di De Mita dalla presidenza della commissione. Bicamerale addio, allora? Stamattina De Mita incontra Spadolini e Napolitano per fissare insieme le tappe parlamentari di febbraio. Tutti gli occhi, ormai, sono puntati su Mattarella. Il direttore del «Popolo» non ha rilasciato altra dichiarazione che questa: «E' difficile rifiutarsi di lavorare». E di lavoro ce ne sarà molto, e dai risultati incerti. Le ipotesi ancora in pista sono due. La prima, prospettata dal referendario pidiessino Barbera: ogni gruppo voterebbe un proprio testo, presentandosi in Parlamento in ordine sparso. La seconda, propugnata da Bassanini, prevede che Mattarella si limiti a proporre in aula un testo riassuntivo a favore del maggioritario uninominale, ma senza entrare nei particolari dolenti. E cioè nel numero dei turni di votazione: uno, come vuole la de, o due, come invece vogliono socialisti, socialdemocratici e pidiessini. Mario Segni leader referendario La Bicamerale ha solo una settimana di tempo per scongiurare il ricorso alle urne
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