Christa Wolf: «Io, agente della Stasi a mia insaputa»

Christa Wolf: «Io, agente della Stasi a mia insaputa» La scrittrice tedesca si è ritrovata negli elenchi degli informatori: per un «incontro» nel '59 Christa Wolf: «Io, agente della Stasi a mia insaputa» Fino al '68 aveva anche un nome in codice: «lingua biforcuta» BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Prima di diventarne vittime, anche Christa Wolf e il marito hanno avuto «contatti informali e regolari» con la Stasi. E' la stessa scrittrice a confessarlo, in un intervento che il Berliner Zeitung pubblica stamane. E dopo lo scandalo sollevato dalle ammissioni di Heiner Mùller - il drammaturgo oggi a capo del «Berliner Ensemble», che ha dichiarato di aver avuto «incontri regolari» con la polizia politica di Honecker - la «confessione» della più famosa romanziera della Ddr fa subito scalpore in Germania. In realtà l'ammissione della Wolf vuole essere soprattutto una sfida e una difesa: per Heiner Mùller, per se stessa e per quanti (a migliaia, probabilmente) condivisero la stessa sorte. Dice in sostanza Christa Wolf: ai tempi del regime poteva capitare a tutti di venire schedati nei registri della Stasi come «IM», o «collaboratore non ufficiale». Bastava avere qualche contatto con i «collaboratori regolari» della polizia segreta. Secondo la sua ricostruzione, è accaduto anche a lei e al marito Gerhard, titolare della casa editrice Januspress di Berlino. Christa Wolf afferma di avere scoperto per caso il proprio nome nei registri della Stasi, lo scorso maggio: con¬ sultando la propria scheda nel cosiddetto «archivio Gauck» che raccoglie tutti gli atti della polizia di regime. Pensava di trovare le prove sui pedinamenti cui era stata sottoposta dopo la rottura con il partito, nel 1965. Ha trovato invece il proprio nome in codice di agente per gli anni 1959-1968: «Dopplerzùngler», pressappoco «lingua biforcuta». «Totalmente impreparata» alla scoperta, la scrittrice aveva deciso di tacere. Il «caso Mùller» l'ha decisa a rompere il silenzio. Ma come è andata? Secondo il suo racconto, alla fine degli Anni 50 la scrittrice fu avvicinata da «due uomini dell'Ufficio»: «Totalmente intimidita», si dichiarò «disposta a incontrarli di nuovo». L'anticipazione dell'articolo sul Berliner, resa nota ieri sera, non precisa che cosa la Wolf ricorda di quegli incontri e di quei colloqui. La scrittrice afferma comunque di non aver mai firmato nessun impegno e di non aver ricevuto compensi. Per tre anni, dal '59 al '62, la sua «involontaria collaborazione» venne registrata come «Gì», cioè «informatore sociale»; in seguito come «IM». Anche Gerhard Wolf, ieri sera, ha dichiarato di essersi stupito per la scoperta fatta dalla moglie negli archivi di Berlino. Nella sua ricostruzione dell'«involontario arruolamento» ritorna agli anni di Halle: nel '59, ammette Gerhard Wolf, «ho avuto contatti regolari con un responsabile di una casa editrice, che tutti sapevamo essere un ufficiale della Stasi». Tutto sarebbe cominciato allora. Ma in seguito alla rottura fra Christa Wolf e la Sed, il partito comunista tedesco-orientale, marito e moglie diventa¬ rono «vittime della Stasi»: «Sempre sorvegliati», ricordano entrambi. Dopo la Svolta, Christa Wolf è già stata al centro di un'aspra polemica negli ambienti letterari dell'Est: per aver pubblicato soltanto nel 1990, un anno dopo la definitiva uscita dal partito, un racconto scritto undici anni prima, Was bleibt (Che cosa resta), in cui descrive i pedinamenti di cui era stata vittima. Ieri sera, il suo vecchio amico e avversario Hermann Kant, per anni capo dell'associazione degli scrittori nella Ddr, ha commentato con gelida ironia: «Che sciocchezza. Me lo sarei aspettato da me, piuttosto che da Christa Wolf». [e. n.j Dopo mesi di silenzio confessa: fu avvicinata da due poliziotti e non ebbe il coraggio di mandarli via \ Christa Wolf: la più nota scrittrice dell'ex Ddr racconta oggi in un articolo per il «Berliner Zeitung» la sgradevole scoperta fatta nel maggio scorso consultando gli archivi della polizia segreta

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