Preti-Rombo in difesa delle foreste

l Nelle Filippine hanno dichiarato guerra ai tagliaboschi. Un vescovo guida i loro assalti: «Dio vuole che difendiamo le piante» Preti-Rombo in difesa delle foreste E' nato così un movimento clericale non-violento RELIGIOSI E «VERDI» LUBAYAN (Filippine). E' domenica mattina, in questo remoto villaggio di montagna. I contadini affollano la piccola cappella di legno. Rombando, arriva in motocicletta un uomo in giacca di jeans e Ray-Ban: è il reverendo Mariano Chia, che porta un messaggio della Chiesa Cattolica Romana: bloccare i taglialegna fuori legge, che distruggono le foreste pluviali delle Filippine. «Dio è re - predica Padre Chia - e, in quanto discepoli di Cristo, dobbiamo proteggere l'ambiente che ci ha dato». E' un messaggio di pace, dice, ma non vuole correre rischi: prima di iniziare la Messa, trasmette via radio la sua posizione ad alcune monache che lo controllano a 96 chilometri di distanza. Per ogni evenienza, fissato alla cintura ha un coltello da conibattimento. Metà predicatore, metà guardaboschi, Padre Chia, 37 anni, fa parte di un manipolo di preti cattolici che combattono i boscaioli che hanno fatto fortuna spogliando del legno duro i fianchi delle colline. E' una missione pericolosa. In novembre, uno dei confratelli è stato trasferito dopo quelli che la diocesi aveva giudicato due tentati omicidi. Un altro prete attivista è stato ucciso l'anno scorso in uno scontro a fuoco, probabilmente da taglialegna furibondi, che gli avevano già mandato messaggi di morte. E' stato Padre Chia a trovare il cadavere dell'amico. «Non pensiamo al nostro pericolo - dice -. Se si tagliano tutti gli alberi, che cosa accadrà alle pianure, ai nostri contadini, ai bambini?». Un'idea di quello che accadrebbe è già ben visibile nelle più di setti mila isole delle Filippine. Eccetto qualche albero sparso, molte colline sono ormai prive di quel manto che un tempo le ricopriva e raccoglieva le piogge. Non più ancorato dalle radici degli alberi, il terriccio di superficie viene portato via a ogni temporale. I cambiamenti indotti dal taglio degli alberi, legale e illegale, hanno spezzato antichi equilibri: alcune risaie sono secche, altre sommerse dall'acqua. Un impianto per l'energia idroelettrica è talmente intasato dal limo che soltanto una turbina su tre funziona. L'anno scorso, le piogge violente hanno causato alluvioni nelle quali sono perite circa settemila persone. «A che cosa serve lo sviluppo se l'uomo perde la sua uma- nità?», si chiede il vescovo Gaudencio Rosales, il capo sessantenne del movimento anti-tagliaboschi, promotore di quello che spera possa essere un modello di movimento clericale nonviolento. Al volante della sua Toyota, il vescovo Rosales è quasi sempre in viaggio, a offrire consigli ambientalisti alle 880 mila persone della sua diocesi. Inoltre una radio della Chiesa trasmette idee per bloccare i tagliaboschi e ripiantare le foreste. Il problema maggiore è che non tutta l'attività è illegale. Le più grandi società del Paese compiono operazioni su larga scala perfettamente legali e si difendono dicendo che, dove tagliano, ripiantano. Inoltre gran parte dell'attività illegale viene fatta proprio da quella gente poverissima che la Chiesa vorrebbe proteggere. Il fatto che con il tronco di un albero si sfami una famiglia per tre mesi rende alcuni preti molto pessimisti. «La gente deve pur mangiare», dice un missionario canadese. Nel catechismo uscito lo scorso novembre, la Chiesa dice che la terra è eredità degli uomini e va protetta. Questo ha dato nuovo vigore al movimento locale, iniziato cinque anni fa nella città di San Fernando, piccole case di legno sparse sulle montagne a 112 chilometri da Malaybalay, fino agli Anni Ottanta ai bordi di una foresta pluviale. Tribù di aborigeni Manobos cacciavano, pescavano e commerciavano con gli abitanti della pianura, che usavano i metodi taglia-e-brucia per fare spazio all'agricoltura. Poi arrivarono i taglialegna che fecero man bassa di tutti gli alberi ad alto fusto che costituiscono la giungla. Dopo un inutile tentativo di parlare con le grandi compagnie, le comunità locali, spalleggiate dalla Chiesa, cominciarono i blocchi lungo le strade, subito percossi da bravacci assunti dalle compagnie che operavano in piena legalità. Poi passarono allo sciopero della fame, che funzionò: il governo proibì qualsiasi taglio di legname nella provincia di Bukidnon, dove c'è San Fernando. La distruzione della foresta è però continuata lo stesso. I boscaioli se ne infischiarono del bando. Vennero confiscati alcuni carichi, ma ci furono anche poliziotti che passarono dall'altra parte. Nel 1990, il vescovo Rosales chiese al governo che il clero potesse ricoprire le funzioni di guardia forestale. Manila acconsentì. Nel giro di qualche settimana, i preti di Bukidnon fecero incursioni nei siti del taglio illegale e bloccarono i carri con la legna. Un gruppo di San Fernando abbandonò addirittura la Messa di Natale per inseguire un convoglio che attraversava la città: fu minacciato con le granate, ma non si ritirò. Dopo la morte di Padre Satur, nell'ottobre '91, il gruppo degli uomini cattolici cominciò a or¬ ganizzare un servizio di guardia armata per i preti. «Non volevamo che nessuno minacciasse i nostri preti», racconta Teodorico Agawin, un agricoltore che nei suoi viaggi portava con sé una M-16 e una pistola. Smise, racconta, dopo essere riuscito a evitare per un pelo un agguato a un prete. Padre. Chia dice che adesso la polizia ha troppa paura per accompagnarlo quando va a bloccare i carichi illegali. Ma lui non si tira indietro: «Dobbiamo proteggere i ragazzi». Marcus W. B rauchi i Per concessione del «Wall Street Journal» Copyright 1993 Dow Jones & C. Inc. e per l'Italia «La Stampa» I preti-Rambo stanno tentando di salvare le foreste delle Filippine e bloccano i tagli illegali, mentre le suore fanno loro da staffetta

Persone citate: Chia, Gaudencio Rosales, Marcus W., Mariano Chia, Rosales, Teodorico Agawin

Luoghi citati: Fernando, Filippine, Italia, Manila, San Fernando