Quattordici minuti, ed è primavera di Paolo Passarini

Nel discorso d'insediamento impegno a rinnovare Washington «centro d'intrigo e corruzione» Nel discorso d'insediamento impegno a rinnovare Washington «centro d'intrigo e corruzione» Quattordici minuti, ed è primavera Clinton: dobbiamo cambiare per restare noi stessi WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Alle 11 e 59 di ieri mattina, Bill Clinton ha prestato giuramento come 42° Presidente degli Stati Uniti. Era una splendente ma gelida giornata di inverno. «Ma noi abbiamo costretto la primavera a uscire», ha annunciato il nuovo Presidente davanti a centinaia di migliaia di americani e a 26 mila ospiti radunati sul Mail della Capitale. < Da ieri Clinton è il primo Presidente democratico dopo 12 anni, ma anche il primo Presidente dopo quasi un quarto di secolo a insediarsi mentre soldati americani sono impegnati in missioni nel mondo. Clinton ha parlato solo 14 minuti, dominando la sua naturale prolissità, che gli aveva fatto sbagliare i due discorsi più importanti della sua vita prima di quello di ieri. L'immagine-chiave, ricorrente, è stata quella della primavera. La promessa quella di «nuovi inizi». La sfida quella di «rendere il cambiamento amico». Il messaggio è stato soavemente populista, il tono conciliatorio. Il contenuto, secondo una tradizione quasi sempre rispettata, di circostanza. Ma la cerimonia, bellissima e festeggiata dalle eleganti traiettorie dei gabbiani, è stata un successo. «Celebriamo oggi il mistero del rinnovamento americano», ha iniziato. Clinton con sicurezza e, per la prima volta da mesi, con la voce limpida. «La più vecchia democrazia del mondo» è obbligata a cambiare «per preservare i suoi ideali di vita, la libertà e la ricerca della felicità». «Oggi - ha annunciato il 46enne Presidente, il più giovane a entrare in carica dopo Teddy Roosevelt e John Kennedy - una generazione allevata nelle ombre della Guerra Fredda assume nuove responsabilità in un mondo riscaldato dal sole della libertà, ma ancora minacciato da antichi odi e da nuove piaghe». L'America si aspetta molto dal Presidente nato dopo l'ultima grande guerra mondiale, allevato nei decenni della grande crescita dei suoi consumi e del suo mito, addirittura più giovane, come ha detto un altro quarantenne, del leader dei Rolling Stones, Mike Jagger. Il Presidente che ha ammesso di aver fumato marijuana, che ha venerato Elvis Presley e che suona il sassofono, può permettersi di fallire in tante cose, non nella capacità di portare nel Paese un'aria nuova, di far sentire a tutti che i loro orizzonti di vita si sono allargati. Clinton si è impegnato a combattere una realtà che impone a molti di «lavorare più duro per meno». Ha promesso di avere a cuore le preoccupazioni di «chi non può lavorare affatto», di impedire che molte famiglie vengano «devastate e mandate in bancarotta dagli alti costi del sistema sanitario», di lottare perché «la li- berta dei cittadini che rispettano la legge non venga oppressa dalla paura del crimine». Al «nuovo mondo che è più libero ma meno stabile», il nuovo Presidente promette che l'America continuerà a offrire la sua «guida». «Mentre saremo impegnati a ricostruire la nostra casa - ha dichiarato Clinton - non ci ritireremo dalle sfide, non mancheremo di cogliere le opportunità di questo nuovo mondo. Assieme con i nostri amici e alleati, costruiremo il cambiamento». «Quando i nostri interessi vitali saranno minacciati - ha ammonito con un'indiretta allusione a Saddam Hussein - o la volontà e la coscienza della comunità internazionale sarà sfidata, noi agiremo. Con pacifica diplomazia, quando possibile, con la forza, quando necessario». Infine, con una concessione alla rabbia ami-palazzo che sostenne in parte il fenomeno Ronald Reagan dodici anni fa e si è reincarnata nella candidatura di Ross Perot durante le passate elezioni, si è scagliato contro una «bellissima» capitale diventata «centro dell'intrigo e della corruzione». Era circondato da tutti i parlamentari. Dietro di lui si ergeva la cupola del Capitol Hill ed era difficile immaginarlo, dopo una vita interamente dedicata alla politica, come l'«outsider» venuto dal popolo. Ma Clinton ha assicurato che «ogni vantaggio personale sarà d'ora in poi messo da parte». Pochi minuti prima, Clinton aveva giurato, con tanta decisione da tagliare la parola in bocca al giudice che gli suggeriva le formule di rito da ripetere. Prima di alzarsi per avvicinarsi al podio riparato da un'enorme, anche se quasi invisibile, lastra anti-proiettile, Clinton era apparso commosso e emozionato. Sembrava stesse per piangere quando ha abbracciato Albert Gore, il suo vice, che aveva giurato prima di lui. Ma poi si è padroneggiato con sicurezza, dando un'altra prova della sua capacità di apparire a proprio agio e disinvolto in ogni occasione. La capacità di adattamento, la prontezza nel rispondere alle nuove situazioni, lo aiuteranno molto nel suo difficile compito. La disinvoltura, se applicata senza controllo, invece che al comportamento, alle decisioni politiche, potrebbe accrescere il sospetto, che già c'è, che sia un uomo pronto a dire una cosa e il suo contrario. Gli americani hanno letto Thomas Paine, secondo cui «la moderazione nel carattere è una virtù, quella nei principi un vizio». Paolo Passarini

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