In trappola i «padrini» della Piovra in Versilia

In trappola i «padrini» della Piovra in Versilia In trappola i «padrini» della Piovra in Versilia FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Una vera grandinata. Ventiquattro ordini di custodia cautelare per mafiosi più o meno presunti e la sensazione di respirar un'aria meno greve, soprattutto sulla costa tirrenica, fra La Spezia e Bocca d'Arno dove sono state effettuate 45 perquisizioni. In undici sono finiti in carcere, catturati in Toscana, a Milano, Velletri e Cosenza; ad altri sette il provvedimento è stato consegnato nelle celle che attualmente occupano nelle patrie galere; sei, per il momento, sono scomparsi. Associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico di stupefacenti e di armi: le accuse fanno capire senza equivoci che il colpo è stato sferrato contro la piovra mafiosa che da tempo ormai ha allungato i tentacoli su quella specie di Eldorado chiamato Versilia. «Personaggi interessanti, non piccoli spacciatori», ha osservato Piero Luigi Vigna, procuratore della Repubblica. E, il tono soddisfatto di chi ha appena concluso un buon lavoro, il sostituto procuratore Giuseppe Nicolosi aggiunge: «Questi rappresentavano una sorta di succursale toscana del gruppo che gestiva l'autoparco scoperto a ottobre in via Salomone a Milano». E proprio quell'autoparco milanese, venuto in luce con le indagini per l'inchiesta «Mani pulite», pareva una specie di società criminale delle nazioni. In posizione di forza c'erano quelli del clan «Cursoti», catanesi non legati a «Cosa Nostra» e forse neppure «uomini d'onore», o meglio: «del disonore», come li ha felicemente definiti il sociologo Pino Arlacchi. Criminali, in ogni modo, organizzati e brutali, che hanno seminato tragedie in mezza Italia, Torino compresa. Ma c'erano anche altri, balordi d'ogni genere e mafiosi doc. Osserva il dottor Nicolosi: «Fuori dalla Sicilia, forse, è più facile stringere alleanze improponibili nell'isola. Del resto, poiché il fine ultimo è il lucro, in certe situazioni trovano conveniente la spartizione». E un reticolo di conoscenze, legami, alleanze, vincoli, patti naturalmente scellerati univa il gruppo che è stato individuato qui in Toscana. Che non è l'unico, sottolinea Nicolosi, perché «è vero, in Versilia e nella piana lucchese esistono anche insediamenti di Cosa Nostra e noi indaghiamo. Presto, assai presto se ne potrà parlare». Dai mafiosi, reali o presunti, la costa dev'esser considerata luogo oltreché ameno anche sicuro, una specie di «buen retiro» nel quale appartarsi nei momenti difficili. Tanto che prima dell'arresto, avvenuto a Camisano di Vicenza il 7 settemre scorso, in una villa di Ronchi di Massa aveva soggiornato Pippo Madonia, uno ai vertici di Cosa Nostra. Le manette sono state infilate ai polsi di Carmelo Morabito, 44, messinese residente a Santo Stefano Magra, ritenuto il braccio destro di Carmelo Musumeci, capoclan della zona, fm quando lo scalzò Lodovico Tancredi, un fedelissimo, sembra, dei «Cursoti»: fu una guerra vera, con morti, feriti e tradimenti, quella fra i due gruppi. Ora sia Musumeci sia Tancredi sono in carcere con una lunga serie di accuse sulle spalle, e i clan, che avevano finito per riunirsi, paiono allo sbando. Fra gli arrestati anche Francesco Freni, 44 anni, indicato come il luogotenente di Tancredi, e Paolo Scotti, 25 anni, milanese. In carcere un ordine di custodia cautelare è stato consegnato a Carmelo Caldariera, 39 anni, catanese, ergastolano: avrebbe gestito lui l'autoparco meneghino prima di Giovanni Salesi, finito dentro quando il tornado «Mani pulite» si abbatté in via Salomone. E anche Giuseppe Mignani, 43 anni, di Carrara, si è visto notificare l'ordine di custodia da una guardia carceraria: a Marsiglia, dov'è fuggito qualche tempo fa. Vincenzo Tettandoli Il procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna: ha emesso ventiquattro ordini di custodia cautelare