Ma Saddam Hussein non incanta Clinton

Baghdad offre un cessate-il-fuoco unilaterale, il successore di Bush si dice scettico Baghdad offre un cessate-il-fuoco unilaterale, il successore di Bush si dice scettico Ma Saddam Hussein non incanta Clinton Lettera aperta del dittatore al nuovo leader «L'America vuole da lei un mondo migliore» WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Il Consiglio Supremo della Rivoluzione irachena ha annunciato ieri unilateralmente il cessate-ilfuoco nelle zone cuscinetto create dall'Onu, dopo che, nella mattinata, aerei americani e inglesi avevano colpito ancora una volta alcune postazioni missilistiche e radar a Nord del 36° parallelo e alla vigilia dell'insediamento di Bill Clinton alla Casa Bianca. Poco dopo, il portavoce di George Bush, Marlin Fitzwater, ha commentato: «Se Saddam rispetta il cessate-il-fuoco, i problemi saranno finiti». Ma Clinton non sembra della stessa opinione. Il portavoce del nuovo Presidente, George Stephanopoulos, ieri infatti ha reagito all'offerta con scetticismo. «Conosciamo Saddam - ha detto -: niente lascia pensare che possa cambiare». Fonti dell'Onu hanno poi confermato che l'Iraq ha dato ieri la sua autorizzazione a che i voli degli ispettori Onu diretti a Baghdad giungano nella capitale irachena direttamente da Bahrein. Saddam Hussein sviluppa chiaramente un'offensiva di simpatia nei confronti di Clinton e il suo messaggio sembra essere: adesso che il mio nemico personale George Bush è ormai liquidato, Iraq e Stati Uniti possono cominciare a parlare. Ma retroscena politici delle decisioni militari prese alla Casa Bianca e informazioni dettagliate sulle discussioni in corso tra Clinton e il suo «staff» collocano in una luce nuova quanto è successo nei giorni scorsi e quanto potrebbe accadere nelle settimane future. Esistono ormai numerose testimonianze che documentano come Bush abbia resistito a una forte pressione favorevole a scatenare attacchi più decisi contro l'Iraq, mentre ora queste pressioni si sono concentrate su Clinton e provengono da parecchi dei suoi collaboratori più stretti. Ieri, Clinton ha ricevuto una lettera da Baghdad, non un messaggio personale vero e proprio, ma una lettera aperta, indirizzatagli dal portavoce di Saddam, Abduljabbar Muhsen, e, pubblicata sul quotidiano «al-Tawra». La lettera conteneva un «consiglio gratuito»: «Signor Presidente, il popolo non l'ha eletta per continuare questa politica, ma per cambiare e creare un mondo davvero nuovo, come lei ha promesso. L'ostilità contro l'Iraq le negherebbe la possibilità di realizzare i legittimi interessi che stanno a cuore al suo Paese». Ma il disegno di Saddam di rifare un po' di guerra con Bush, dopo intenzionali provocazioni, per poi poter trattare una pace più vantaggiosa della precedente con Clinton, è precisamente quello che ha determinato la reazione americana di questi giorni e che sta spingendo molti collaboratori del nuovo Presidente a chiedere un'azione più decisa nei suoi confronti. Non è più un mistero da giorni che tra Bush e il Pentagono c'è stata una divergenza netta. I capi del ministero della Difesa e in particolare il generale Colin Powell erano favorevoli a un'azione militare su larga scala. Bush, stando al «Washington Post» ed al «Los Angeles Times», ha resistito, non volendo terminare la sua Presidenza «come uno che aveva ripreso tardivamente a dare la caccia a Saddam senza riuscire ad acciuffarlo» e trovando rischioso che un Presidente uscente si lasci coinvolgere in decisioni militari gravi. Per cui ha deciso di coordinare la sue decisioni strettamente con Clinton, che era favorevole ad agire, ma non voleva trovarsi in eredità una situazione già predeterminata. Naturalmente, il punto di vista del Presidente ha prevalso ed è stata adottata la strategia dell'azione «limitata e proporzionata», che già da lunedì pomeriggio, sempre per ordine della Casa Bianca, è diventata, secondo l'espressione di Marlin Fitzwater, «azione difensiva». In altri termini, da lunedi, l'aviazione alleata avrebbe reagito solo se si fosse sentita minacciata o ostacolata nei suoi compiti di pattugliamento delle zone protette. Nel frattempo, al Pentagono, le critiche a Bush, accusato ancora una volta di ondeggiare e non andare fino in fondo, sono aumentate. E non sono state portate solo dal capo degli Stati Maggiori, Powell, che resterà in carica anche con Clinton. Sono condivise da importanti collaboratori di Clinton, a cominciare, dicono le fonti, dal nuovo ministro della Difesa, Les Aspin, oltre che da altri. Aspin propugna la teoria dell'dmposizione», cioè di un uso più deciso della forza, purché finalizzato a un esito, e Powell, che era stato molto moderato durante la guerra del Golfo, si è prontamente allineato. «Bush e i suoi consiglieri non hanno fatto un buon lavoro nel convincere l'esercito che deve ribellarsi a Saddam», dicono ì critici. «Con Clinton - dicono gli uomini del nuovo Presidente - ci sarà uno scopo più largo per l'uso della violenza». L'idea di Powell era ed è che bisogna attaccare direttamente la Guardia Repubblicana e la Guardia Presidenziale di Saddam, per convincerla che sta pagando prezzi troppo alti. Aspin condivide questa linea, che ha come scopo quello di imporre a Saddam di capitolare interamente di fronte ai dettati della comunità internazionale. Clinton, d'accordo con la moderazione di Bush prima di entrare in carica, sta valutando quale delle due posizioni gli convenga assumere una volta diventato Presidente, poiché ha tutto l'interesse a chiudere il capitolo Saddam e dedicarsi a cose per lui più importanti, ma non certo al prezzo di un'umiliazione degli Stati Uniti. L'unica cosa che non gli conviene è trascinare le cose. L'indecisione di Bush, da una parte, e le voci di una rottura nella sua amministrazione, dall'altra, hanno certo alimentato le frizioni tra gli alleati e la presa di distanze della Russia che ieri il Pentagono ha ammesso. Paolo Passarmi Un partito della guerra ha premuto e preme ancora per lanciare l'offensiva finale contro l'Iraq Ultimi preparativi prima di una missione, a bordo della portaerei «Kitty Hawk» Sotto: a Baghdad la guardia d'onore scorta le bare delle due vittime dei missili americani sulla capitale irachena [FOTO REUTER)