DIARIO ARABO di Igor Man

r r DIARIO ARABO 1 Iraid[americani adrenalina del Raiss ERI, a Roma, durante una colazione-buffet in onore del ministro degli Esteri di Siria, il dottor Al Shara, ho colto, casualmente, uno scambio di battute fra l'illustre ospite e un noto giornalista arabo. Ministro: «E' vero che stanno attaccando di nuovo?». Giornalista: «E' vero, il terzo attacco è in corso». Ministro (con un inopinato moto di stizza): «Così Saddam si sarà rafforzato ancora tre volte; da non crederci...». La risposta del ministro siriano, un diplomatico serio che, secondo il settimanale parigino «L'Express», sta trattando morganaticamente la pace con Israele in una città europea, sempre diversa, è come usa dire sintomatica. Rivela il fastidio e la preoccupazione di quei regimi arabi che due anni fa si schierarono con Bush contro Saddam Hussein. Il caso siriano è particolare: sulla decisione, clamorosa, presa allora dal presidente Assai!, di schierarsi con gli Stati Uniti contro il «fratello» iracheno, pesò molto l'annosa rivalità ideologica che divide Baghdad e Damasco. Entrambi i due regimi si richiamano al Baas, quel socialismo nazionale arabo ideato da Michel Aflak, scissosi in due ali (una siriana, l'altra irachena) che ne rivendicano, entrambe, il copyright. I giornali arabi grondano di freddi distinguo, persino il prudente ministro degli Esteri del prudentissimo presidente egiziano Mubarak critica apertamente i raids americani mentre il vecchio segretario della Lega Araba denuncia l'attentato alla integrità territoriale dell'Iraq. Quel poco che mi auguro di conoscere degli arabi mi radica nella certezza che ai vari raiss non è pòi che importi molto della «sovranità» dell'Iraq. Dei suoi cittadini. Li preoccupa il «dilettantismo americano» a causa del quale un leader generalmente odiato (e in qualche misura temuto), lui, Saddam, non solo non conosce tramonto ma si rinforza ogni giorno che passa. In termini di immagine, beninteso e, quindi, di credibilità. I raids voluti da Bush sono vere e proprie iniezioni di adrenalina: Saddam era pressoché alle corde, la minitempesta lo ha rimesso in palla. Non è tutto: la rimonta di Saddam può avere l'effetto di uno zolfanello acceso nell'oceano infiammabile dell'integralismo panislamico in travolgente avanzata. Grazie a Bush, Saddam ha ripreso a fare il padrino: visita i giornalisti stranieri rimasti feriti, distribuisce premi in denaro agli «eroi» della contraerea, parla alla radio con gli accenti gravi d'un padre attento, e saluta gli integralisti convenuti a Baghdad per una Conferenza islamica (e finiti in buona parte all'ospedale) coi gesti e le parole di un imam. Tra ventiquattro ore, insh'Allah, Bush sarà definitivamente tornato dalla sua cockerina e cominceranno gli anni di Clinton, il Roosevelt del Duemila. Tra 24 ore, forse, Saddam Hussein tirerà un poderoso respiro di sollievo, (Ma altresì di soddisfazione). Poi, rinfrancato, continuerà, ostinato come un castoro, a lottare per riprendersi il Nord del Paese, deciso a dare una cruda mazzata ai curdi confidando nella possibile distrazione della Turchia. Giorno dopo giorno si sta riprendendo il Sud sciita, il che non dispiace a quegli arabi che atterriscono all'idea di un Iran, «prossimo all'atomica», di nuovo gendarme del Golfo. Tutto questo fa sì che sulle giovani spalle di Clinton gravi ora il peso imprevisto d'un dilemma drammatico: fare la pace con Saddam e presto, ovvero esser costretto, non tanto tardi, a fare la guerra. Vera. «Ti abbiamo inviato come portatore di verità, annunciatore di una buona novella, e ammonitore sorridente; ma non sarai responsabile di coloro che si saranno dannati». Questi versetti del Corano (II, 119) sembrano dettati su misura per «Billy». Igor Man