Son ritornati i figli dei fiori
Son ritornati i figli dei fiori Contro l'America puritana Son ritornati i figli dei fiori ETORINO N drappello di allegri giovanotti e una simpatica ragazza, vestiti Anni Settanta come Warhol e i Beatles, è atterrato a Torino, proveniente dall'America, per invadere due gallerie, «Claudio Bottello» e «In Arco», portando lavori per una mostra collettiva piena di sorprese: «Teddy e altre storie» (a cura di un «team» di giovani critici intraprendenti, Cristiana Perrella e Luca Beatrice, le rassegne saranno aperte da martedì al 27 febbraio). Chi sono? Un «gruppo» di giovani artisti, con grandi consensi critici e di pubblico a New York, che si presentano ora come una «tendenza»: operano in un'America ancora malata di puritanesimo, e si calano tutti in una miriade di linguaggi (pittura, fotografia, disegno, fumetti, scrittura, allestimenti, performance), non disdegnando tutti i simboli cari ai teen-agers, tipici della società dello spettacolo, ostensorio di simulacri elettronici, o specchio di infiniti narcisismi. La «tendenza» è quella di narrarsi, o di narrare, in negativo, ovvero da una posizione critica, un sociale malato ma vestito di lustrini. Da «Bottello» troviamo gli allestimenti del «duro» Cary Leibowitz, della «coppia» PruittEarly, della cupa Karen Kilimnik, del giovanissimo Richard Agerbeek; all'«In Arco» sta la pittura dell'anacronista Alexis Rockman, del poetico Nicolas Rule, del forte Fabian Marcacelo e del «pop» Cari Ostendarp. Se ci mettiamo davanti allo specchiante lavoro a luci rosse di Leibowitz (I Love Andy Warhol), della timidissima Kilimnik - di cui abbiamo visto a Rivoli una tenera installazione con animali di pezza e sale - ci accorgiamo che nel loro modo caotico, neobarocco, di porgere oggetti, pupazzi, disegni, avanza con forza la parola scritta. Oggi che più che mai la parola è suono che non comunica e non significa, ed è il fiume delle immagini che tende ad ingoiare tutto, sono forse artisti come questi coloro che possono ri-usarla come un'arma acu- minata per dire, o per urlare, la loro rivolta contro la violenza, l'emarginazione, a favore di una sofferta utopia della speranza. Il lavoro di «pittori» non si scosta per contenuti da quello degli artefici che adoperano oggetti. Infatti Ostendarp si esprime con macchie, colature, misti a fumetti degli Anni 40, usa gamme cromatiche pastello dal giallo banana al blu cielo, al rosa gomma da masticare, tipico dei repellenti dolci della pubblicità. Anche Marcacelo - di lontana origine italiana e accento sudamericano - ci fa vedere materiali pittorici come colpiti da radiazioni, così da generare metamorfosi perverse. Rockman, con Wolpertinger, opera dipinta come quella di un fiammingo del Seicento, ci mostra simulazioni di mutazioni genetiche della natura, o contro nàtur. Pruitt-Early sono due giovanotti che si mascherano, con fine ironia, da figli dei fiori, portano le loro creazioni nei supermercati, ci parlano di «amore e colori nell'ora della piaga dell'Aids». Il ventiquattrenne Agerbeek, che dice: «Nel mondo ciò che è bello è tragico», ci porge i suoi cattivi animaletti disegnati su acetato (il contrario dei personaggi di Disney che ora mangiano vegetariano e ostentano un ipocrita «bon-ton»). Rule, di origine inglese, ama gli alberi genealogici dei cavalli e le «storie gotiche». Tutti appartengono a pieno titolo alla civiltà dell'immagine inaugurata da Warhol e dai Beatles, alla cultura «punk» e «postpunk». In questi lavori c'è un'ars combinatoria che sembra volere tutta per sé tutte le forme artistiche degli ultimi trent'anni, di tutti gli stili e di tutti i revivals; ma anche c'è la volontà di usare la propria emotività contro l'esperienza della morte. Essi non ci portano verso un modo di sentire apatico, o estatico, ma ci invitano con aspra civetteria a un pensiero della speranza, che riguarda questa inquieta fine di secolo. Sissignore ho scritto «pensiero», o si tratta oggi di merce avariata? Marisa Vescovo «Love Pro jet», 1993, degli americani Pruitt e Early, in mostra a Torino da Bottello
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