«Sì, lavorai per la Stasi»
«Sì, lavorai per la Stasi» La Zeit: il direttore del «Berliner» ha tradito «Sì, lavorai per la Stasi» // regista Mùller confessa BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «E' un traditore», denuncia la Zeit. E dietro l'accusa, velata d'infamia, che il più autorevole settimanale della sinistra tedesca lancia al drammaturgo Heiner Mùller, s'infiamma la polemica più rovente del dopo-Muro, una riflessione al confine di politica e morale. Perché Heiner Mùller, neo direttore del «Berliner Ensemble», un mito della cultura «orientale» e dell'opposizione al regime, ha ammesso contatti informali con la polizia politica di Honecker, la Stasi. E «la confessione», emersa quasi per caso in un'intervista televisiva, ha riaperto ferite che molti pensavano chiuse, a due anni dall'unità: il peso del passato, le responsabilità individuali «sotto il regime», il comportamento «politico» e «pubblicò» degli intellettuali all'Est. Mùller ha escluso, è vero, di aver preparato dossier o «informative scritte», ha escluso di aver ricevuto compensi. Ha ammesso soltanto un «peccato veniale», un «atto d'ingenuità»: «Posso essermi dimenticato, qualche volta, che non parlavo con delle persone ma con rappresentanti dell'Apparato». Soprattutto, in questo suo «coinvolgimento informale», non ha mai visto «problemi morali»: «Per persone nella mia posizione, contatti occasionali con la Stasi erano inevitabili», si è difeso. E ha spiegato di aver «cercato di dare consigli» e di «esercitare qualche influenza» su chi lo avvicinava. Ma sia pure accompagnata da tante cautele, la «confessione» di Mùller - il solo drammaturgo dell'Est le cui opere siano state rappresentate all'Ovest ha scosso il mondo della cultura tedesca, alla quale ha riproposto il tema doloroso della delazione, dell'infiltrazione, della denuncia mascherata. Nell'ex Ddr, dove la Stasi era una presenza ossessiva, colleghi e compagni del commediografo hanno reagito con incredulità o «grande stupore», come ha riassunto Wolf Biermann. Solo Christoph Hein l'ha difeso, ripensando a «quei tempi»: «Io non ho avuto questo problema, ma avevo tutt'altra posizione rispetto a lui. Nella Ddr ero un privato cittadino. Sono stato fortunato». Stefan Heym ha preso le distanze: «I miei contatti con la Stasi erano passivi. Forse perché, agli occhi della polizia politica, non ero un conoscitore della scena letteraria profondo come Heiner Mùller». Hermann Kant, già presidente degli scrittori e anch'egli sospettato di aver avuto regolari contatti con la polizia segreta, l'ha accusato con sprezzo ma- scherato d'ironia: «La "confessione" è una delle migliori barzellette ciniche di Mùller... ma per la cultura dell'ex Ddr è un colpo tremendo: Mùller era una grande figura internazionale. Aveva dimostrato che, anche da noi, c'erano stati dopotutto dei contribuiti maledettamente buoni». E' all'Ovest, negli ambienti della sinistra, che la condanna è diventata alle volte ripulsa, come mostra il durissimo e definitivo giudizio della Zeit, «tradimento». O si è trasformata in riflessione amara su se stessi e la propria cecità: «L'opinione pubblica tedesca deve chiedersi a quale tipo di intellettuale ha reso omaggio, con Mùller, e che cosa dice anche su di lei, questo omaggio», scrive la Tageszeitung, quotidiano delle sinistre berlinesi. E' all'Ovest, del resto, che «prosegue la caccia»: proprio la Zeit sostiene di aver raccolto altre prove sul coinvolgimento attivo di Miiller. Il coni- | mediografo mente quando sostiene di avere avuto soltanto contatti «occasionali» con la Stasi, scrive il giornale. Fino al gennaio del 1990 «è stato a sua disposizione», e come ricompensa per «incarichi operativi» ha ricevuto «anche regali». Sempre al riparo di due nomi in codice: «Zement», cioè cemento, dal luglio del 1978 al 14 novembre dell'anno successivo; poi, «Heiner». Con qualche sorpresa, è la stampa conservatrice la sola a dinfenderlo: le accuse della Zeit sono false, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, o almeno impossibli da dimostrare: «I documenti a nostra disposizione sono troppo vaghi per condannarlo». E poi, «il commediografo non ha mai seguito la regola fondamentale della Stasi, mantenere un comportamento cospirativo». Mùller é in attesa. La mia è stata una sfida al conformismo, sembra dire con un'ironia sottile. L'altra sera, al «Berliner», ha letto un brano di Brecht che s'inizia con un grido o un appello: «Vattene, lascia il tuo posto». Emanuele Novazlo «Contatti informali con la polizia di Honecker, ma nessun dossier» Stupiti e increduli i suoi compagni: solo Hein lo difende Il regista-drammaturgo Heiner Mùller I Museo della Stasi a Berlino. Nell'ex Ddr la polizia segreta di Honecker era una presenza ossessiva
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