g£ Primo giorno a Corleone per la moglie del padrino: in questi anni non l'ho mai abbandonato

g£ Primo giorno a Corleone per la moglie del padrino: in questi anni non l'ho mai abbandonato g£ Primo giorno a Corleone per la moglie del padrino: in questi anni non l'ho mai abbandonato «Il mio Salvatore, padre modello» E donna Riina nasconde il volto appassito CORLEONE DAL NOSTRO INVIATO Donna Antonietta straniera in patria. Il marito, ex re di mio sconfinato territorio che dalle porte di Palermo si spinge per l'interno, fino ai confini della campagna della Valle del Belice, si trova in catene. Lei, appesantita dagli anni e da una vita forse troppo convulsa, quasi sconosciuta se non agli anziani conoscitori di una storia tramandata e mai scritta, torna dopo 24 anni. Fedele alla sua indole non abbassa lo sguardo, anzi aggredisce: «Sciacalli, siete sciacalli», inveisce contro i fotografi. Ma all'autorità costituita, il capitano Francesco Iacono, della Compagnia dell'Arma, dedica un numero più consono al momento. «Purtroppo - sibila confidenziale - siamo qui. Perchè viviamo nell'era dei pentiti». Così Corleone conosce per la prima volta i figli di don Totò Riina: Maria Concetta, Giovanni, Giuseppe e Lucia. Si sono concretizzati dal nulla, fino a ieri non esistevano. Oggi rappresentano la «prova» che la latitanza del Padrino non deve essere stata esente da appoggi, favori e protezioni. La più grande è Concetta, 19 anni. Poi c'è Giovanni (17), quindi Giuseppe (16) e, infine, Lucia che ha 12 anni. Il paese assiste distratto, quasi disinteressato all'evento. Ma dietro l'ostentata noncuranza, a Corleone si nasconde la consapevolezza di trovarsi testimoni di una svolta davvero storica, almeno, per queste contrade. Donna Antonietta, voglia o no, assume ora il ruolo di tramite. Un ponte che collega il mondo esterno col «buco nero» del passato, 24 anni trascorsi in clandestinità, insieme con un uomo offerto all'opinione pubblica come lo spietato dittatore di Cosa Nostra, iracondo dispensatore di morte e-lutti. A sollecitare interesse, non serve neppurelim nei pfcssvdc binieri e del commissariato, dove donna Antonietta espleta i primi doveri, diciamo, burocratici di ex latitante. Si agita la folla di fotografi, operatori e cronisti in agguato dalle prime ore del mattino. La giornata è appena iniziata, li vedono in pochi. Poi, il corso si anima per lo struscio domenicale (la Messa e la passeggiata fino alla villa). La processione di gente scorre tranquilla: sì qualche sguardo appuntito, ma niente di più. Donna Antonietta è a Corleone da sabato pomeriggio. Esce da un taxi bianco che è quasi l'imbrunire. L'auto attraversa la circonvallazione del paese, svolta per un pendio scosceso, fino a un budello: via Scorsone. Al n. 24. Si apre il portone marrone, riconoscibile per l'immagine sacra at- . ,.»rammazione la casèrma dei cara- taccata al centro: la Madonna col Bambino. Si aprono gli sportelli del taxi. Certo, non è più la ragazza leonina che al tribunale di Palermo gridò ai giudici: «Ebbene sì, amo Totò Riina e questo non è un reato». Gli occhi, neri come due tizzoni di carbone, appaiono un po' appannati dietro agli occhiali da vista. Ma lo sguardo è sempre quello, la faccia tradisce la bellezza di un tempo. Si attarda un attimo, donna Antonietta Bagarella, stretta nel suo tailleur grigio che avvolge un girocollo anch'esso scuro,-come i capelli { che le incorniciano il volto assolutamente privo di trucco. Stenta, forse a riconoscere i luoghi, la fesa della sua infanzia, ora abitata da Matilde ed Emanuela. Le sorelle nubili di «Ninetta», che badano alla vecchia madre Lucia Mondello - l'accolgono sulla soglia. Non c'è il fratello, Leoluca. Quello non può esserci, è rimasto l'unico latitante della famiglia. Il portone si richiude, il taxi fila via. Non passa troppo tempo per veder arrivare i carabinieri. «Normali controlli, cercavamo il latitante Leoluca Bagarella», depista il capitano Iacono. I militari trovano le sorelle, poi vedono lei e i ragazzi. «Ninetta» ha gli occhi lucidi, ma non piange. Si alza, va incontro all'ufficiale e gli chiede: «E' lei il capitano di Corleone?». Non aspetta neppure la risposta: «Sono Antonietta Bagarella, moglie di Totò Riina». Ha deciso di rimanere a Corleone, la moglie del Padrino. Ora che lui è in carcere, sovrastato da alcuni ergastoli, donna Antonietta non ha più motivo di stare fuori. E non teme, evidentemente, ritorsioni dagli amici o ex amici del suo Totò. No, non sembra prossimo al pentimento, il boss, se affida i suoi affetti alla protezione del paese. Ancora deve farci il callo alla solitudine: «Sono sempre stata con mio marito e i miei figli, in tutti questi anni. Ho badato io stessa ai ragazzi, per l'educazione e per lo studio». Già, Antonietta è anche la «maestrina» di Corleone. Ha già insegnato in una scuola pubblica di via A4 e in un'altra, privata, di via Roma. Ma davvero questi ragazzi non hanno mai avuto compagni, amici, come tutti i giovani del mondo? E' difficile pensarlo, col tempo forse il dubbio sarà sciolto. Una cosa è certa: i figli, tutti partoriti alla clinica Noto di Palermo, non hanno identità false. I primi tre sono stati rivelati col cognome della madre, l'ultima, Lucia, con quello del padre. Tutta la giornata di sabato va via in un continuo pellegrinaggio di parenti: tutti quelli che non avevano mai visto i figli di don Totò. Anche nonna Lucia li ha conosciuti sabato. Il capitano Iacono va via e la invita per la domenica mattina. Anche al commissariato, la invitano. Che fare? Donna Antonietta non ama la pubblicità, intende sottrarsi alla curiosità dei giornalisti. Per questo ieri mattina chiede di essere presa da una macchina dei carabinieri. E, complice la sorella Emanuela e il cognato Gaetano, mette in atto uno stratagemma. Sta sempre accanto alla sorella, entrambe nascoste da un foulard che le copre fino alle spalle, vestite in modo quasi identico. Fotografi spiazzati: chi sarà mai donna Antonietta? La ressa è inevitabile: «Signora si faccia vedere!». E lei: «No, perché siete solo degli sciacalli. Andate via». Ai carabinieri dice che non ha documenti. Neppure i figli ne hanno. Conferma che intende abitare a Corleone «perché i ragazzi qui devono crescere». Poi si rivolge al capitano: «Mio marito non è quello che voi dite. E' una persona squisita. Auguro a tutti di essere come lui, un padre esemplare. Troppo buono, vittima delle circostanze». Quindi un'altra battuta sugli «infami»: «E' arrivata l'era dei pentiti e lo Stato si fa manovrare da loro». Qualcuno giura di averle sentito pronunciare il nome di «quel cornuto di Marchese», riferito al giovane pentito, ex autista di Riina. Ma-forse è sedo frutto di fantasie. Deve essere stanca, donna Antonietta. Ne è passato di tempo da quando, ancora giovanissima, le piombò addosso il peso di appartenere ad una famiglia di mafia. La ricorda così, Giovanni Parlino suo compagno di scuola, ora emigrato in Lombardia. «Abbiamo fatto - dice al telefono - i cinque anni del liceo classico, dal 1959 al '64. Era bella, Ninetta, eppure nessuno la guardava. Perché? Lo sapevamo tutti che, a causa della sua famiglia, era promessa a qualcuno. Sapevamo che avrebbe fatto un matrimonio di mafia. La ricordo alquanto chiusa, taciturna. Come se le pesasse la sua condizione. Spesso faceva lunghe assenze e sempie in coincidenza con le disavventure giudiziarie del fratello o di qualcuno dei suoi parenti. Non usciva mai, non veniva a ballre con gli altri compagni di scuola. Aveva una sola vera amica, si chiamava Ameba Astena. Poveretta, è morta in un incidente stradale». Era brava a scuola? «Abbastanza. Non partecipava mai ai dibattiti. Non è che si parlasse molto. Però ricordo che una volta abbiamo affrontato in classe l'argomento del rapimento di Franca Viola, ne nacque un confronto interessante e vivacissimo, ma lei, la Bagarella, non aprì bocca». E Riina, lo ha conosciuto? «Una volta, verso la metà degli Anni 60, me ne stavo in auto con un amico. Un uomo comparve dal buio, infilò la testa nella nostra Dauphine e ci chiese se avessimo visto un bambino. Il mio amico rispose subito: "Non abbiamo visto nessuno" e mi fece segno di stare zitto. Poi, quando l'uomo scomparve, mi spiegò che era Riina. Aveva voluto vederci in faccia ed avvertirci che noi "non lo avevamo visto"». Così andava la vita a Corleone. Lo sa anche il vecchio maresciallo in pensione. Anche lui incuriosito, vorrebbe rivedere «Ninetta». Ricorda: «Ce ne siamo occupati tante volte delle donne del clan. Facevano da supporto ai maschi latitanti. La sorella di Liggio comprava terreni a Piano di Scala, Antonietta portava ordini, la moglie di Provenzano, Saveria, badava agli affari. Dissero che non era giusto prendersela con le donne. Addio indagini. Poi arrestammo Totò Riina, proprio vicino alla galleria. Uscì presto. Lo riprendemmo per mandarlo al confino. Chiese un permesso al magistrati per "sistemare le proprie cose" prima di andarsene. Glielo concessero e da allora non lo vedemmo più. Cosa pensano i corleonesi di ciò che sta accadendo? Sono preoccupati. Qui non è mai accaduto nulla di spiacevole, perché è zona franca. Ora è tornata la moglie di Riina, è tornata anche la moglie di Provenzano. E se fosse il miele per le mosche?». Francesco La Licata «Ho provveduto personalmente all'educazione dei figli Siamo ritornati tutti qui per restarci a vivere» Davanti ai carabinieri «Lui è buono Ma siamo qui perché purtroppo viviamo nell'era dei pentiti» Ai giornalisti «Via, sciacalli» g£ j %hafoto di viene fatta risalire agli Anni 60. Dalla moglie Antonietta il superbo» ha avuto quattro figli Antonietta Bagarella, con II capo coperto da un foulard, lascia l'abitazione accompagnata dal cognato Gaetano Rima per recarsi al commissariato (foto apj Sotto: un'immagine giovanile di Antonietta Bagarella, sorella del boss Leoluca, che molti ritengono il vero erede di Riina alla guida di Cosa Nostra dopo la cattura del «boss dei boss»

Luoghi citati: Corleone, Lombardia, Palermo