Smentita l'esistenza di filmati compromettenti, trasferita la famiglia del pentito Di Maggio

Smentita l'esistenza di filmati compromettenti, trasferita la famiglia del pentito Di Maggio Smentita l'esistenza di filmati compromettenti, trasferita la famiglia del pentito Di Maggio «Nessun politico in trappola con Riina» Caselli: non guidai il blitz PALERMO. Niente di vero nelle indiscrezioni che i carabinieri smentiscono? «No, nessun nome di politico, almeno finora». Il vicecomandante della Regione Carabinieri della Sicilia, col. Domenico Cagnazzo, ieri è stato tassativo su questo scottante argomento che fa da sfondo alla clamorosa cattura del boss dei boss della mafia siciliana, Totò Riina, avvenuta venerdì mattina a Palermo. L'ufficiale ha tagliato corto sulle notizie pubblicate in questo senso da alcuni giornali: «Non c'è alcuna indagine su politici scaturita dal lavoro di intelligence prima della cattura di Riina». E ha aggiunto: «Notizie prive di fondamento, almeno per quanto ci riguarda, mentre sono in corso, invece, le indagini per identificare tutti coloro che hanno favorito la latitanza del boss e per precisarne i ruoli». Nella caserma «Bonsignore», in corso Vittorio Emanuele, a due passi dall'Assemblea Siciliana e dall'Arcivescovado, i carabinieri precisano che si tratta di un lavoro non semplice al di là delle apparenze, visto che lo stesso Salvatore Biondino, arrestato l'altra mattina con il capo della «Cupola», in viale Regione Siciliana, al volante di una «Citroen», era un incensurato più o meno insospettabile. In quella che qualcuno ha definito «la domenica delle smen- tite», c'è stata anche una messa a punto del neoprocuratore della Repubblica che è anche il responsabile della principale direzione distrettuale antimafia dell'isola, Giancarlo Caselli, qui trasferito da Torino proprio venerdì mattina, un po' da tutti considerato il giorno più bello di Palermo da molto tempo ad ora. Le indiscrezioni su una sua possibile partecipazione alle indagini che si sarebbero sviluppate fino al successo proprio in Piemonte (a Novara, grazie alle rivelazioni del pentito Baldassare Di Maggio, ex guardaspalle di Riina) sono state rettificate seccamente da Caselli. Il procu¬ ratore ha fatto distribuire alla stampa una breve nota. Vi sostiene che «è del tutto destituita di fondamento» la notizia secondo la quale egli avrebbe partecipato «a interrogatori o colloqui nell'ambito delle operazioni che hanno portato alla cattura di Salvatore Riina». «A tale risultato - ha proseguito Caselli - si è infatti pervenuti, per quanto riguarda il versante giudiziario, grazie all'opera intelligente dei magistrati della procura della Repubblica di Palermo, coordinati con speciale professionalità dai procuratori aggiunti Elio Spallina e Vittorio Aliquò». A tre giorni dall'exploit dei carabinieri dei Ros che hanno portato al successo 1'«operazione belva», com'è stata denominata questa che ha consentito l'arresto del sanguinario capo della mafia siciliana, sospettato dei più efferati delitti e condannato già tre volte all'ergastolo, sembra dunque assodato che Baldassare Di Maggio, detto «Balduccio», figlio di un pecoraio, sia un personaggio-chiave, in gran parte ancora da inquadrare. «Come un cerino acceso lanciato in un braciere che divampa», così uh ufficiale dei Ros ha definito le rivelazioni che hanno contribuito a porre fine alla latitanza di Riina, durata 24 an- ni, cinque in più di quella, a suo tempo, di Luciano Liggio, suo predecessore nel ruolo di boss della «famiglia» mafiosa di Corleone. Liggio, nel 1958, s'insediò alla testa del clan più feroce della mafia .siciliana, dopò avere assassinato, in un agguato, il medico Michele Navarra che, su una « 1100» era diretto a Corleone. Con Navarra, vero e indiscusso capomafia della zona, fu ucciso l'ignaro dott. Giovanni Russo, un giovane medico dell'ospedale «dei Bianchi» di Corleone, che aveva chiesto un passaggio al più anziano collega. Liggio fu bloccato solo dopo tantissimi anni di ricerche in¬ fruttuose. Come ora per Riina, per lui si parlò di una rete di protezioni che probabilmente coinvolgeva «pezzi dello Stato». E Di Maggio? Il «picciotto» di San Giuseppe Jato, legato a doppio filo a Giovanni Brusca, figlio di Bernardo, accusato di essere membro autorevole della «Cupola», prima di allontanarsi dalla Sicilia, per qualche anno aveva, vissuto da riccone nel suo paese spendendo e spandendo denaro e costruendosi una villa in località Ginestra, alle porte di San Giuseppe Jato, un luogo trenta chilometri da Palermo. Poi la sua ascesa all'interno dei clan e, presumibilmente il tradimento degli ultimi giorni. Proprio per impedire che questa sua decisione abbia conseguenze pericolose, vendette trasversali come quelle che colpirono i familiari di Buscetta, i parenti di Baldassare Di Maggio, la moglie i suoi due figli e due fratelli, per motivi di sicurezza, sono stati trasferiti da San Giuseppe Jato in una località segreta sotto la stretta protezione dei carabinieri. Anche dalla cella d'isolamento di Rebibbia, infatti, il boss dei boss potrebbe riuscire a impartire l'ordine di uccidere chi l'ha tradito. Antonio Ravi dà Un momento del trasferimento del superboss Totò Riina da Palermo al carcere di Roma [FOTO SESTINI) INFORMAZIONE PUBBLICITARIA