Tre innocenti falciati dal fuoco dei marines di Giuseppe Zaccaria

Tre innocenti falciati dal fuoco dei marines Alcuni predoni si erano nascosti tra la folla dopo un attacco, cresce di nuovo la tensione Tre innocenti falciati dal fuoco dei marines REPORTAGE A MOGADISCIO CITTA' DELL'ODIO MOGADISCIO DAL NOSTRO INVIATO E alla fine, scoppiò «l'incidente». Nell'arco di cinque settimane, gli scontri a fuoco che hanno costellato l'operazione «Restore Hope» probabilmente avevano già provocato vittime innocenti, inserite nella contabilità di un'operazione ridotta quasi a «war game». L'altra sera però, alle porte di Burlego, un villaggio del Sud sulla strada fra Baledogle e Mogadiscio, l'errore non è stato di quelli su cui si possa far scendere il silenzio. In uno scontro a fuoco, i «marines» hanno ucciso sei somali e ne hanno feriti altrettanti. Tre degli uccisi sicuramente non c'entravano. «E' un fatto molto increscioso - commenta adesso sotto i riflettori il colonnello Fred Peck, portavoce dei fanti di marina -, la responsabilità di questo incidente ricade però tutta sui banditi che si erano nascosti fra la folla». Forse sarebbe più esatto dire: sul clima di terrore che, lontano dalla capitale, si continua a vivere nonostante l'ennesimo accordo di tregua. Il convoglio apparteneva alla decima divisione e stava rientrando dalla scorta ad una colonna di aiuti. Era buio: alle porte del villaggio, gli «Hummer» si sono trovati la strada sbarrata da un camion. Quel mezzo era stato appena assalito da una banda di predoni: quindici persone almeno, spiega il colonnello Peck. Qualcuno ha sparato contro gli americani, è scattata improvvisa la psicosi dell'agguato, la risposta è stata immediata e massiccia. E' una tecnica infame ma molto praticata, quella delle bande somale: chi spara, tenta di nascondersi tra la folla per evitare reazioni. Pochi giorni fa era accaduto ai nostri para, che erano riusciti a tenere a posto i nervi e a cavarsela senza vitti- me. I «marines» sono stati infinitamente meno accorti. Pochi minuti, e la strada si è coperta di corpi: sei persone uccise, altrettante ferite, fra le quali anche una donna. Poco dopo, la scoperta che tre dei morti erano solo parenti del camionista appena rapinato, scesi con lui dal mezzo e scampati ai fucili dei predoni. Anche sugli altri, resta per il momento qualche incertezza: secondo i «marines», uno era sicuramente un bandito, gli altri restano «unidentified». Poche ore dopo, secondo incidente, questa volta nella capitale. Sulla strada che conduce dall'aeroporto verso il centro un altro veicolo americano è stato circondato da una folla minacciosa. Un somalo brandiva una pistola: i «marines» hanno sparato, l'uomo è rimasto ferito ma è riuscito ad allontanarsi, nella fuga 1'«Hummer» ha quasi divelto un albero. Difficile dire se questa sorta di assalto avesse qualche collegamento con l'eccidio della sera prima. Certo, quel clima che a Mogadiscio pareva essersi rasserenato è tornato di colpo a inasprirsi. \ A noi italiani, oltre ad un rastrellamento nel quartiere del Lido, dominio di Ali Mandi («La gente applaudiva i vostri soldati», ci raccontava la moglie del leader, Nurta) ieri sono toccate, invece, missioni di tutt'altro tipo. Erano le 10 quando, dalla sede della cooperazione, due camion zeppi di carabinieri sono partiti in direzione Nord. La «missione di pace» stava per arricchirsi di un altro frammento: un viaggio alla ricerca degli «italiani» dimenticati. L'operazione si è concentrata tutta sulle spalle di Enrico Augelli, il nostro plenipotenziario, che ieri ha finito col dimostrare come in certi casi la mancanza di apparati possa anche tradursi in un vantaggio. Sarebbe bastato vedere come 1'«ambasciatore» è giunto all'orfanotrofio di Shibis, quanto informale sia stata la visita e come sia riuscita a produrre rapidamente qualcosa di concreto. Da domani l'istituto, che accoglie più di 1200 bambini, sarà rifornito anche da noi. E forse, fra i piccoli, c'è qualcuno che presto sarà strappato a questa desolazione. Registriamola, dunque, questa piccola parentesi umana, in un'operazione sempre più scandita da bollettini militari affidati a speakers che paiono contabili della normalizzazione. La visita di Augelli non entrerà forse nei bollettini, ma sembra avere un valore molto diverso. Ne vedrete le immagini tra breve: i fotografi dei settimanali, che ieri mattina erano lì, quasi non credevano a tanto bendidio. Centinaia di scatti con i nostri soldati circondati, accarezzati, scalati dai bambini. Gli applausi di una scolaresca schierata in aule a cielo aperto. Le acrobazie di un'insegnante d'inglese che tentava di spiegare ai bambini come, secondo lei, scatola si dovesse dire «bochis». Scene un po' patetiche, se volete, ma utili a richiamare l'attenzione su un piccolo universo che rischiava di scomparire. C'era una punta d'imbarazzo, in quel china, a puntare l'attenzione sui figli di italiani, ma era di questo che Augelli si doveva occupare. Cristina Nutini, 12 anni, è stata protagonista assoluta fino all'incontro con Massimo, bambinetto biondo, figlio di un italiano sconosciuto e di un'etiope che è tornata nel suo Paese. Quell'istituto accoglie bambini e ragazzi dai 3 ai 13 anni. Ad occuparsi di loro ci sono in tutto 14 insegnanti, 5 nurses e 4 cuochi. Il personale non riceve paga da mesi. «Guardi, ambasciatore: in quel prato abbiamo sepolto tutti i bambini che non ce l'hanno fatta». Lo scorcio mette i brividi: fra le macerie che circondano l'orfanotrofio, dalle sterpaglie si alzano paletti fitti come un pettine. Ogni palo segnala un corpo. Poi c'è l'assedio dei «nostri», di quelli che chiedono di andare in Italia. Augelli non può garantire asilo, ma assicura interessamento. Chi invece, almeno adesso, non sembra vivere problemi di affidamento, è Renato Malvestiti, il sedicenne che avevamo incontrato l'altra mattina, per scoprire che da due mesi viveva con un proiettile conficcato in fronte. Si trova ancora a bordo della nave «San Giorgio», dove questo pomeriggio sarà operato. Nel frattempo, dopo essere stato adottato dai fanti del «Battaglione San Marco», è diventato mascotte anche a bordo. Dice di avere un po' paura dell'operazione, continua a chiedere: «Ma poi, mi lasciate andare a Milano?». Giuseppe Zaccaria Un bambino somalo osserva una postazione dei marines nel centro di Mogadiscio In città controlli e rastrellamenti si sono intensificati [foto AfP]

Persone citate: Augelli, Cristina Nutini, Enrico Augelli, Fred Peck, Peck, Renato Malvestiti

Luoghi citati: Italia, Milano, Mogadiscio