Così l'onorevole salva il doppio stipendio di Maria Grazia Bruzzone
Nel decreto emendamento a sorpresa Nel decreto emendamento a sorpresa Così l'onorevole solva il doppio stipendio Per262 docenti universitari e giudici rimangono tutti i privilegi economici ROMA. I signori del Parlamento, come se niente fosse, come se le accuse di usurpare inauditi privilegi non fossero mai state mosse, quatti quatti hanno infilato nel decreto che attua la lègge sul pubblico impiego un comma che consente a quasi un terzo di loro di continuare imperterriti a percepire un doppio stipendio di dipendenti pubblici impossibile ai più, con tanto di pensioni e scatti di anzianità. Almeno per questa legislatura. Poi, qualche santo prowederà. Un piccolo blitz che ha modificato leggermente il testo della legge delega, per essere sicuri di continuare a godere di quel vantaggio che da sempre permette a deputati e senatori di cumulare agli 8 milioni di stipendio di parlamentare (più diaria, rimborsi viaggio, indennità portaborse) altrettanti milioni percepiti in quanto docenti universitari, magistrati (le categorie più numerose), insegnanti e altri dipendenti dello stato. A fruirne sono i 262, di tutti i partiti, di destra e di sinistra, nomi noti e sconosciuti, segretari, sottosegretari e ministri della Repubblica o semplici peones. Da Giuliano Amato a Giovanni Spadolini, da Carlo Vizzini a Leoluca Orlando, da Francesco De Lorenzo a Salvo Andò, a Franco Reviglio. Da Mariotto Segni al capogruppo de Gerardo Bianco, al vicesegretario de Sergio Mattarella, al suo omologo repubblicano Giorgio Bogi, alla schiera dei senatori fra i quali spiccano Bruno Visentini e Carlo Scognamiglio, Giorgio Ruffolo e Claudio Vitalone ma anche i verdi Carla Rocchi e Anna Maria Procacci. Verdi come i deputati Gianni Mattioli e Massimo Scalia. Retini, come Alfredo Galasso e Nando Dalla Chiesa. Pidiessini come r»jt>3.*(. Carol Beebe Tarantelli e Claudia Mancina, come gli ex magistrati Ferdinando Imposimato, come Stefano Rodotà. Scudocrociati come Carlo Casini e Ombretta Fumagalli Candii, Publio Fiori, socialisti come Paolo Pilliteli e Antonio Ruberti, Labriola e Pira. Repubblicani come il giudice Giuseppe Ayala. Tutti accomunati da un vantaggio concesso per legge. Dopo Tangentopoli, la pressione dell'opinione pubblica muta. I giornali gridano. Il missino Mirko Tremaglia pone per primo la questione. Indennità parlamentari e diarie sono bloccate, tra le proteste sommesse degli onorevoli. In autunno la legge delega sul pubblico impiego, fiore all'occhiello di Amato (e del suo braccio destro alla Funzione pubblica Sacconi) sembra recepire l'incompatibilità. Poi succede qualcosa. «Sono indignata. Ero convinta che nella legge il divieto a comulare funzioni e stipendi fosse entrato, c'era stato un ampio dibattito e si era arrivati a una decisione» trasecola Ersilia Salvato, senatrice di Rifondazione. «L'articolo era secco, costringeva i parlamentari a essere sospesi da altri incarichi pubblici» stupisce il verde Mattioli. Secondo Alfredo Galasso, della Rete, che era nella Commissione, l'articolo in questione c'è ed è nettissimo. «Purtroppo». Ma aggiunge: «Bisogna solo vedere se sarà applicato ai parlamentari di questa legislatura». Dimentica, Galasso, il comma fatidico dell'ultima ora, secondo il quale l'aspettativa va comunicata a 30 giorni dalla proclamazione dell'eletto. Come dire, la prossima volta. Maria Grazia Bruzzone
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