Le mamme dei bambini in guerra

Le mamme dei bambini in guerra ■I SSrGhK SS ■111 lettere AL GIORNALE Ipiccoli autoritari della bit generation e le prediche di Formigoni La stupida superiorità di chi usa i videogiochi Sto leggendo la pubblicità dei videogiochi e scopro l'esistenza e l'osannazione di una Bit Generation. Non metto in discussione l'accesso a una cultura informatica, fin dalle elementari. Per troppi bambini però sono diventati un oggetto attraverso cui far valere una pretesa stupidissima superiorità. Vedo bambini che ne sono assorbiti. Mi chiedo come le loro menti possono venire condizionate dalle procedure informatiche che sono costretti a seguire. La struttura di relazione che si forma è: io che comando (sempre meglio), lui che obbedisce (sempre meglio). Una cosa forse simpatica per una persona matura, ma deleteria per una mente in formazione. Franco Elvia, Udine Sgarbi mangiagiudici finisce K. O. Vittorio Sgarbi ha rimproverato Di Pietro di non conoscere l'italiano, e ha citato la frase del giudice «si sono litigati», usato intransitivamente. A parte che anche litigare possa essere usato transitivamente («litigar l'elemosina» scrive Manzoni), il riflessivo o medio transitivo «litigarsi» esiste. Il Palazzi cita «si litigano il guadagno» e il DevotoOli «litigarsi il posto a sedere» e «litigarsi una donna». Perciò è il mangiagiudici Sgarbi, che non sopporta OK, ad andare, in italiano, KO. Luciano Serra, Reggio Emilia «Per la Bosnia manca un Pietro l'Eremita» Per la situazione della Bosnia il Papa «s'indigna» e leva la sua «flebile voce». Chissà perché nessuno lo ascolta, si chiede Barbara Spinelli nel suo articolo «Il sonno dell'Occidente». Forse perché con il suo terzomondismo e antiamericanismo ha perso credibilità al tempo della guerra del Golfo, e oggi, anche se ci sono di mezzo i cattolici croati... E poi due anni fa la guerra non era una «avventura senza ritorno?». Tra i predicatori vedo Formigoni, non un Pietro l'Eremita, né un Bernardo di Chiaravalle. j Rosalino Sacchi, Torino Israele, Araffat e i 400 di Hamas Ho seguito sulla Stampa il dibattito in risposta all'articolo di Gianni Vattimo sull'espulsione da parte di Israele dei 400 di Hamas e concordo con le argomentazioni di Deborah Fait. Confesso che mi ha deluso la replica di Vattimo che esordisce con una affermazione di tono apodittico e saccente sul danno provocato ad Israele da chi fornisce un'ampia e dettagliata introduzione storico-politica ai fatti (chissà mai perché) e continua indignandosi per il divieto agli aiuti umanitari (ma perché non deplorare lo stesso divieto da parte del Libano, ove tante fazioni si proclamano favorevoli ad Hamas), per i dieci palestinesi espulsi erroneamente (errore subito riconosciuto da Israele), ma non spende una sola parola sulla matrice ideologico-politica di Hamas, il suo pervicace opporsi ai negoziati di pace, anche con eccidi di militari israeliani e la sua posizione dichiaratamente contraria alla costituzione di uno Stato israeliano. Persino Arafat ha ritenuto di doversi dissociare dall'attività terroristica di Hamas, mentre è in corso un negoziato di pace già di per sé tanto difficile, nel quale Rabin deve dimostrare al suo popolo che l'obiettivo «pace in cambio di territori» è perseguibile e non una mistificatrice chimera. E' di ieri la notizia, propalata dalla tv e dalla stampa, che i palestinesi espulsi sono costretti a cibarsi di serpenti: particolare che aggiunge un magistrale tocco di orrore gastronomico al crimine israeliano; per converso le molte centinaia di arabi collaborazionisti scannati dai militanti palestinesi, non hanno ottenuto che qualche fugace, quasi infastidito accenno. Anche la simpatia per gli arabi ha dei limiti precisi ed invalicabili: è consentita solo per quelli schierati contro Israele. Purtroppo una larga parte della stampa italiana tollera gli israeliani solo nel ruolo di vittime, mentre quando tentano di difendersi, anche contro chi sistematicamente e violentemente contrasta un delicato e difficile obiettivo di pace, si erge a fustigatrice inesorabile, divenendo più realista del re (leggi Arafat). Vittorio Crepaldi, Venezia Risponde Gianni Vattimo: Mi duole che il signor Crepaldi si fermi a discutere le poche (e per forza sbrigative) righe che ho scritto in risposta alla lettera della signora Fait. Se il signor Crepaldi la condivide, allora anche lui accusa il mio articolo: a) di identificare Hamas con l'inno¬ cente Abele; b) di far dipendere il diritto all'esistenza di Israele dal comportamento del suo governo nel caso dei quattrocento deportati. Entrambe queste letture di quel testo sono aberranti, esprimono uno stato d'animo esasperato di cui posso capire i motivi ma che non posso condividere e che mi sembra politicamente controproducente. Tra l'altro, non è vero che nell'articolo non deplorassi l'atteggiamento del Libano. Rifiuto poi di accettare che ogni obiezione alle scelte politiche del governo israeliano debba essere preceduta da un rituale riconoscimento delle colpe dei governi e dei terroristi arabi ricostruite con dovizia di riferimenti storici. E infine: io non avevo certo bisogno di «dissociarmi dall'attività terroristica di Hamas», come il signor Crepaldi sembra chiedermi, giacché lo ha fatto «persino Arafat». «Perché lascio la Lega per l'Ambiente» Il 7 gennaio scorso mi raggiunse telefonicamente per un'intervista riportata il giorno dopo sulla Stampa («La favola del "Mulino Bianco" scatena la guerra tra i verdi) Luigi Sugli ano. Sono grato al giornale di aver dato risalto alla mia lettera di addio alla Lega per l'Ambiente, pubblicata dal Manifesto del 7, e a buona parte delle argomentazioni addotte. Mi duole però che il redattore del pezzo si sia lasciato per così dire prendere la mano dalla fantasia (l'ascolto dell'eventuale registrazione del colloquio potrà confermarlo) nell' attribuirmi alcune espressioni mai pensate, e che suonano sleali nei confronti dell'associazioni cui ho aderito fino a qualche settimana fa. Non mi occupo di filosofia dell'essere, tanto meno in materia di ecologia, e non è dunque mia l'espressione peraltro decontestualizzata, «Legambiente esprime il nulla». Il testo originale della lettera pubblicata dal Ma¬ nifesto, e inviata ai dirigenti nazionali, regionale e locale, recitava, diversamente: «Me ne vado, Lega, perché per 7 anni ho fatto parte di una associazione che è la Lega per l'ambiente, con tanto di articolo e preposizione. Men tre Legambiente - questo freddo e asettico significante massmediologico - esprime bene solo perdite di significato». Un'anno tazione di carattere linguistico, dunque, che metteva in relazio ne la nuova sigla decisa dal re cente congresso di Parma con parallele perdite di contenuto, e che appare troppo sbrigativo e un po' strumentale, sintetizzare con l'enunciato attribuitomi. Sa rebbe quanto meno delirante pretendere che un'associazione alla quale ho aderito fino a l'altro ieri avesse perso di punto in bianco qualsiasi valore e sostanza. Vorrei poi che si comprendesse che i motivi di profondo dissenso politico che dividono la mia posizione da quella di un Realacci o di qualsiasi altro diri gente nazionale non possono né devono incrinare il rapporto di amicizia, lealtà e solidarietà che con loro ho condiviso e continuo a ritenere vitale nonostante i differenti punti di vista. Altrettanto non mia è l'evoca zione del caso Acna (che non ho mai menzionato né nella lettera né per telefono col sig. Stigliano) in relazione allo sponsor Gardini. Forse è servita a far vantare al Presidente della Lega qualche indubitabile incorruttibilità; ma - Acna o non Acna - la questione della credibilità democratica della Lega resta fortemente agganciata ai Gardini di ogni lati tudine e al peso (anche finanziario) che sulle strutture della Lega essi possono vantare. Girolamo Dell'Olio, Firenze Responsabile dimissionario Lega per l'Ambiente Toscana Confermo quanto ho scritto. I toni usati da Dell'Olio nei confron ti della Legambiente, e ribaditi in una lettera aperta, erano ancora più duri. [1. s.)