Brera Leopardi era come Pelé di Gianni Brera

Ecco l'ultimo scritto del giornalista: pochi giorni prima di morire si è divertito a commentare il poeta Ecco l'ultimo scritto del giornalista: pochi giorni prima di morire si è divertito a commentare il poeta Brera: Leopardi era come Pelé L'ultimo testo letterario di Gianni Brera è dedicato a Giacomo Leopardi: è il commento dell'Operetta morale Dialogo d'Ercole e di Atlante, ora pubblicata da Franco Muzzio. Eccone alcuni brani. ~7^1 HIUNQUE abbia ceduto, 1 < per uno o molti attimi, ai I vezzi di Monna Poesia, 1 i capisce perché il forcipe vdlrii Satana abbia tratto così penosamente sbìrolo Giacomino dal ventre di sua madre contessa. Io ritengo di capirlo, da bassaiolo plebeo e pragmatico, non appena rinvenuto dall'estasi che mi coglie seguendo il poeta in quella prodigiosa notte dolce e chiara, del tutto priva di vento, con la luna che posa cheta sovra i tetti e dentro gli orti, e di lontano rivela serena ogni montagna. Tento di esporre in pappagallesca prosa queste immagini di folgorante genio espressivo. La metafora del poeta contenuto e parco viene avvilita a mezzuccio: il canto è in verità di sublime piattezza (vicine gobbe non ne compaiono). Ed io ammetto un po' confuso di aver considerato iperbolico sotterfugio adeguare i ritmi di quell'avvio leopardiano all'armoniosa danza di Pelé con la palla al piede. Null'altro mi pareva in grado di esprimere tanta meraviglia. Pelé ave¬ va i piedi piccoli e divergenti in punta, che volgarmente diconsi dolci. Forse quel comune aggettivo mi ha richiamato all'avvio dell'ode immortale (...). Il buon Ercole, lui si preoccupa per il mondo, e propone di mollargli una energica clavata, così da svegliarlo, se mai fosse addormito. Poi ci ripensa e, come riflettendo ad alta voce, ammette con Atlante che una clavata potrebbe ulteriormente schiacciarlo o addirittura spiaccicarlo come un uovo. Quale sarebbe, poi, la sorte degli uomini, sotto il gran colpo di clava? Una volta lottavano con i leoni e oggi con le pulci, però sarebbe un peccato accopparli tutti. Ecco allora la trovata pallonaro del contino. Ercole non vuole rovinare il mondo né uccidere gli uomini con una clavata delle sue. «Però possiamo giocarci a palla, eh nonno Atlantino? Suvvia, togliti il pastrano che io depongo la clava. Questa sferuzza che in sostanza è la terra servirà ottimamente al nostro gioco» (...). Incomincia la partita: ed è chiaro che le ironie del contino fioriscono dalla sua dubbia competenza nel gioco del plebeissimo pallone. Il vecchio Atlante non è tanto in vena. Si fa premura di avvertire Ercole che la palla è piuttosto deforme, e quindi rotola così male che si può dire zoppichi addirittura. Il tono spregioso è tipico del contino, che non si cura nemmeno di rispettare il gergo. E' possibile definire zoppa una palla che non rispetta i rimbalzi? Chiaro che l'autore, prevenuto, ha il mondo in gran dispitto. Ma quel gnocco di Ercole non capisce, e tutte le colpe addossa all'imperizia del vecchio, che a parer suo non sa colpire come dovrebbe. Che serve mollare di gran botte - gli obbietta allora Atlante, piccato la sua parte - se la palla è tanto leggera da sentire il vento? Qui spira sempre garbino, dovresti saperne qualcosa (ahi ahi, conte: quale oscena licenza: nelle sue Marche imperversa garbino, nemico delle buone traiettorie: ma la terra intera ci sta?). Ercole, tonto muscolare, si ostina a dire che i difetti della palla gli tornano sgraditi,*ma vuol mostrare di sapere da sempre che il vizio di cercare il favore di vento è molto antico. L'insinuazione è chiara, mondo cane: quando mai si è potuto giocare senza che il misero attrezzo non sentisse che aria tirava? Sincero ma sprovveduto, in apparenza, Atlante propone di dare una gonfiatina alla palla, perché non è niente elastica: a. colpirla di pugno (o bracciale dentato o quel che l'è) ha la sensibilità di un popone. Ercole si dimostra, come suole, molto stupito (e deluso): «Una volta, dice, non aveva questi difetti: saltava e rimbalzava come un capriolo». Perdoniamo al contino la totale mancanza di linguaggio tecnico. Si può parlare d'una palla che balza e salta al modo di un piccolo cervide dalle corna sottili? E poi si fa ironia sui cronisti sportiviNonno Atlante si prende la sua rivincita di giocatore non privo di puntiglio. Perché il bestione chiacchiera tanto, trascurando di piazzarsi per il meglio? Se lascia cader palla, finisce male. E in effetti la palla cade. Ercolone dà tutta la colpa al vecchio, tanto disallenato e malaccorto da non saper imprimere le giuste battute. «Il suo colpo era basso e impreciso: non l'avrei presa (la palla) neanche se mi fossi rotto l'osso del collo». Qui il semidio ha uno sfogo patetico, del tutto inatteso, e si mostra spiaciuto dell'errore. «Ohimè, poverina, come stai?». In quei termini si rivolge alla derelitta palla pullulante di uomini occupati (dire intenti sarebbe troppo) a dormire come e più di prima. Ovviamente non giungono risposte. In tutta evidenza, il contino ha pudore di insistere con tanta cattiveria. Ma se il sempliciotto Ercole ci ha il nodo in gola, il cosmico facchino a nome Atlante incomincia a tremare di paura e ingiunge al semidio di rimettergli il mondo sulle spalle, di riprendersi la clava e di andarsene subito in cielo a implorare il perdono di babbo Giove: non è colpa sua di lui (precisa Atlante) se ha accettato la proposta di giocare alla pelota con la Terra: la colpa è tua di te, brutto e scapato demonio (...). Gianni Brera Milano, 10 dicembre 1992 Chiacchierando di «shirolo» Giacomo e di sua madre contessa jliiiiil Brera (a sinistra) e Leopardi (a destra). Nel testo del poeta, Adante e Ercole giocano a palla col mondo

Persone citate: Brera, Franco Muzzio, Giacomo Leopardi, Gianni Brera, Leopardi

Luoghi citati: Marche, Milano