Ma in quest'Italia è ancora vivo il senso del «proprio dovere»? di Maurizio Assalto

Ma in quest'Italia è ancora vivo il senso del «proprio dovere»? Ma in quest'Italia è ancora vivo il senso del «proprio dovere»? DOPO L'ARTICOLO DI ROMITI II n uomo fa sempre ciò che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli, le pressioni». Era il motto di John F. Kennedy, e Romiti lo ricorda con un'aggiunta: quale che sia il personale interesse. Nelle righe finali l'intervento dell'amministratore delegato della Fiat sul Corriere alza il tiro e dalla contingenza politico-economica apre uno spiraglio sui grandi temi. Il senso del dovere: esiste ancora in Italia o è morto per sempre? chi l'ha ucciso? quando? dove? Lo scrittore Giovanni Testori indica un punto di partenza: «Nella classe politica, salvo qualche eccezione, il senso del dovere ha cominciato a morire verso la metà degli Anni 50. Con l'avvento di Gronchi alla presidenza c'è stato il "rompete le righe", poi è stato sempre peggio. Il dovere è coinciso con il potere, l'egemonia. Non soltanto nella politica, ma anche in quella parte della cultura che aveva costituito a Roma il proprio Palazzo e da cui non si poteva riscuotere considerazione se non si era in qualche modo legati al marxismo. Almeno tutto questo è finito, da quando non ci sono più Pasolini, Moravia, la Morante». Però non tutto il quadro è così negativo, secondo Testori: «Nella "bassa corte" il senso del dovere non è morto, ci sono molti italiani che vi si attengono oscuramente. Il guaio è che ci sono stati tolti i termini per capire tutta la durezza del dovere. La cultura moderna è incapace di capire e di rappresentare il bene come forza drammatica, che richiede tensione morale, senti¬ mentale, affettiva, religiosa». Il problema, forse, non è soltanto etico. Ne è convinto Saverio Vertone, attento critico del costume e del malcostume italiano: «Perché il senso del dovere possa agire nelle coscienze, bisogna che queste siano limpide non solo moralmente ma anche intellettualmente. Non si possono fare richiami all'etica senza prima verificare la capacità di intendere e di volere di chi sta mettendo a repentaglio il futuro del Paese. Mi sembra che la malattia dei politici sia prima di tutto psichica: ma lo sanno quali sono i loro compiti, gli interessi che devono difendere? La politica, invece di risolvere i problemi del Paese, è diventata un ostacolo persino a percepirli». Vertone cita un giudizio di Formica, secondo cui la forza del governo Amato si regge sulla debolezza dei partiti: «Allora - osserva -, viste le realizzazioni dell'attuale governo, vuol dire che prima la forza dei partiti nuoceva alla soluzione dei problemi. I politici continuano a ritenere che i problemi del Paese siano quelli dèi loro rappòrti, e tendono a risolverli a spese dell'Italia. E' il riflesso condizionato di una cultura che ha fatto dei partiti un'immagine surrogatoria del Paese: una perversione che si è consolidata e incancrenita negli ultimi decenni, e che celebra i suoi sabba soprattutto tra le file dell'opposizione. E' singolare e deprimente che sia ricominciato il balletto per rovesciare il governo». Il discorso scivola di nuovo sull'attualità politica. «E' inutile volare sulle massime morali, piuttosto bisogna calarle nelle questioni che vengono al pettine oggi - dice il filosofo Lucio Collétti -. Si vuole un altro governo che poggi su una maggioranza più larga? Benissimo, ma a due condizioni: che si sia in grado di mettere effettivamente sul tavolo la compagine delle forze disposte a sostenere il nuovo ministero; e che l'accordo realizzato tenga conto dell'urgenza di una politica economica improntata a una dura austerità. Occhetto invoca un governo che blocchi i licenziamenti: significherebbe ripetere l'esperienza degli Anni 70, quando le imprese in rosso passavano sul conto dello Stato». Tutta colpa delle opposizioni? Il filosofo Gianni Vattimo non è d'accordo: «Più che di senso del dovere, io parlerei di senso della responsabilità. Romiti ha ragione, Amato ha varato alcune misure positive. Però è anche intervenuto nella direzione socialista in difesa di Craxi: che senso di responsabilità è questo? E' qui che si doveva dare un segno di cambiamento, invece c'è stato un compattarsi della classe politica intorno ai suoi membri. In giro c'è poco senso del dovere perché manca il riconoscimento pubblico delle responsabilità. Si è consumato con le grandi coalizioni di governo sempre più blindate, dagli Anni 70 in avanti. E' venuto meno perché abbiamo un sistema elettorale per cui tutto ricade su tutti e su nessuno, perché i parlamentari inquisiti non si sa se verrano processati, perché la giustizia è lenta. Almeno in parte, Amato si è fatto difensore di questo sistema. E' questa, semmai, una ragione per cui si potrebbe desiderare la sua caduta». Maurizio Assalto Vertone: la vecchia politica troppo lontana dalla gente Vattimo: poco riconosciuto il valore della responsabilità vii Ws^TI^/ II filosofo Lucio Colletti (a sinistra) n alto lo scrittore Giovanni Testori Gianni Vattimo (in alto) e Vertone (a destra)

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