Anche i «duri» del proibizionismo sono costretti a rompere le file di Pierluigi Battista

Anche i «duri» del proibizionismo sono costretti a rompere le file Anche i «duri» del proibizionismo sono costretti a rompere le file QUANDO CRAXI ORDINO' LA CROCIATA OVEVA essere una crociata, condotta senza tentennamenti contro quell'oscura lobby che il grande capo amava definire «il club degli amici della modica quantità». Appena sbarcato in Italia dopo una visita lampo a New York, Bettino Craxi appariva quasi folgorato dalla nuova frontiera Usa in materia di lotta al traffico e all'uso degli stupefacenti. Oltreoceano trionfava la linea dura dei Giuliani e dello «zar antidroga» William Bennett. Là sì che si faceva sul serio contro gli ultimi bagliori della stagione «permissivista». Adesso toccava all'Italia sottoporsi alla terapiachoc. E si preannunciavano tempi duri per gli aficionados dello spinello, per i libertari senza spina dorsale che predicavano la filosofia del «tutto è lecito», per i lassisti che spargevano a piene mani melassa e carità pelosa a favore di quel diavolo di un tossico. Un'altra sparata craxiana destinata ad estinguersi in un battibaléno, dicevano i più scettici. E avevano torto perché impugnando il vessillo della lotta alla «droga libera» Craxi voleva impegnare se stesso e il suo partito con l'intransigenza di un condottiero partito per una guerra santa. E per dare il buon esempio nella battaglia contro il vizio, il leader socialista non esitò nemmeno un attimo a privarsi del piacere della sigaretta. Sul principio secondo cui «drogarsi» è un reato, poi, nel partito non era lecito discutere. Ci provò Martelli ad avanzare timidamente una distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti e subito furono bacchettate sulle dita. Una dichiarazione improvvida di Bobo Craxi scatenò l'ira paterna e il figlio fu costretto ad umilianti smentite. E quando Roberto Cassola, solitario dissidente, osò esternare le sue perplessità, venne zittito da Craxi con un minaccioso: «Queste cose valle a dire agli elettori del tuo collegio». Per Cassola era la fine della sua carriera parlamentare. I de assistevano sornioni e in disparte al fervore punitivo di Craxi. Il leader del psi voleva forse catturare qualche voto moderato? Ci pensava il furbo Forlani a dissuaderlo e se Craxi proponeva il carcere per i drogati, il segretario de rilanciava sapientemente con la minaccia della pena di morte per i delitti più efferati. Si esponeva Rosa Russo Jervolino, firmataria della legge, sostenendo che da adesso in poi «il detentore di sostanze stupefacenti, piaccia o non piaccia, viene considerato spacciatore», ma la palma dei più accaniti apologeti della nuova normativa che avrebbe sterminato l'esercito dei drogati a colpi di sanzioni penali, spettava indubitabilmente a loro, gli esponenti del Garofano. Gennaro Acquaviva: l'Italia deve dimostrare di «non essere il Paese più permissivo»; «drogarsi è un atto contro la società» e bisogna invocare un «altùlà alla cultura dello spinello». Acquaviva non scherzava quando si rivolgeva agli antiproibizionisti definendoli senza tentennamenti «gli sniffatori». Ma anche gli altri socialisti non erano da meno. Salvo Andò, nel volume «La droga illecita: una difficile battaglia» (SugarCo) con prefazione di Craxi: «La cultura dell'irresponsabilità ha provocato grandi sconquassi», ha generato, accanto a un «nuovo luddismo» e una colpevole inclinazione alla «trasgressione» anche il principio che il tossico è «un innocente traviato dal'sistema sociale». Fabio Fabbri, il sottosegreta- rio alla presidenza del Consiglio che proprio ieri ha esposto i princìpi del dietrofront sulla droga, non andava per il sottile: «E' indispensabile dichiarare illecita, e quindi punita, anche la detenzione di modiche dosi» per segnare il «passaggio dal permissivismo alla ondanna morale, cui corrisponde una sanzione penale». Il principio era chiaro: i drogati vanno puniti. E su questo punto la crociata craxiana mieteva, accanto a furibonde ostilità degli «amici della modica quantità», anche corposi consensi. Da direttore dell'ovanti!» Antonio Ghirelli suonava la tromba della riscossa: «La natura criminosa del consumo, anche se in dosi minime» era fuori discussione. Ed era un coro di consensi. Paolo Cirino Pomicino: bisogna sgominare «lo sterminato esercito dei tossicodipendenti piegati nella loro volontà e nella loro morale». Giancarlo Cesana, leader del Movi¬ mento Popolare: «Tutti gli uomini devono essere richiamati alle proprie responsabilità, compresi i tossicomani. Non si può impunemente permettere loro di collaborare a un disegno di disfacimento di sé e degli altri». Durissimo il gesuita Bartolomeo Sorge, che invocava le forze politiche a risolvere una volta per tutte il problema di questi «ragazzi ridotti a stracci». E anche nel mondo della cultura non si stava a guardare. Carlo Bo: «Finora il partito del Male ha vinto e continuerà a vincere permettendo sogni d'evasione, un sonno senza fine, la conquista dell'incoscienza». Adolfo Berta d'Argentine: «La nuova legge sia solo un avvio». Enzo Siciliano: «Il tempo della droga facile si è concluso per una decisione di governo e molti, a sinistra, accusano di autoritarismo il governo», i Squilli di tromba, colpi di cannone, sibili di pallottole: da ieri è ufficialmente sconfitto l'esercito dei sostenitori del carcere per i drogati. Il suo condottiero ha ben altro a cui pensare. Pierluigi Battista Politici e intellettuali scesero in campo «Questo è solo l'inizio» Qui a fianco, Gennaro Acquaviva. A sinistra Russo Jervolino, . ministro della Pubblica Istruzione

Luoghi citati: Italia, New York